Camollia nel Novecento

Luogo: Via Camollia – Siena

Contrada: Contrada Sovrana dell’Istrice

Data/periodo: Siena, come tutte le città, ha visto nel Novecento un suo progressivo cambiamento urbanistico; per anni, soprattutto nella seconda metà del secolo, si è dibattuto sul piano regolatore che in fasi alterne prevedeva l’espansione urbanistica al di fuori delle mura cittadine

Descrizione: Sognare l’antica città, il vecchio rione dove tutti si conoscevano e, guarda caso, andavano d’accordo, e i bambini giocavano coi barberi. Senza il recupero di spazi abitativi e di quell’elemento che per anni è stato caratterizzante di Siena, la piccola bottega artigiana, la contrada si è ritrovata lentamente privata di quella che era sempre stata la sua linfa vitale: la vita prettamente rionale.

Negli anni a cavallo tra Fascismo e ricostruzione, la strada era una seconda casa, luogo di ritrovo e conversazione, parco di divertimenti e palestra per imprese di ogni genere. Le botteghe artigiane si alternavano alle stalle ed alle cantine. C’erano i marmisti che tagliavano i blocchi di marmo in lastre per fare tavoli e stele del cimitero; il meccanico; il carbonaio (all’epoca i fornelli bruciavano a carbone, che veniva venduto sfuso); le “ballaie”, che riparavano le balle del carbone, un lavoraccio perché la balla era intrisa della polvere; la chiromante; la bettola dove si andava a comprare il vino o l’aceto sfusi con la bottiglia di casa; la rimessa dei camion che effettuavano i trasporti; la cartoleria del Ceccotti, dove venivano comprate le strisce di carta colorata che venivano incollate rigorosamente con la colla di farina di pane per foderare i “barberi” o le spennacchiere o gli zucchini; la latteria di Turiddu Petrilli; la Tipografia San Giovanni, dove presero vita anche alcuni dei Numeri Unici che celebravano le nostre vittorie dell’epoca; il Barbiere, prima del Saladini e poi di Omero; il calzolaio; la cocciaia e lo stagnino.

“Siamo del Pignattello, Camollia e della Piana, siamo della Sovrana” è uno dei nostri stornelli, con cui identifichiamo il nostro territorio nella nostra Contrada. Lo confermano i “giovani” di allora, nelle interviste realizzate da Alessandro Burrini, perché la Contrada era una sola, “L’Istrice”, ma loro erano del Pignattello, di Camollia Alta, di Camollia Bassa, del Campino, del Mercatino, della Magione.

Come scrive Alessandro Amidei, “con i ragazzi delle altre zone del rione i rapporti erano improntati ad una noncurante reciproca sopportazione, sempre venata però da un’ostilità astiosamente latente. Spesso e volentieri, infatti, scoppiavano delle scaramucce che talvolta degeneravano in guerre vere e proprie il cui protrarsi per intere settimane faceva sì che tutti più o meno vi prendessero parte”.

Ma questo spirito di clan nei giorni del Palio, per un tacito accordo da tutti rispettato, veniva meno e tutti insieme scendevano giù verso piazza dietro il cavallo con il fazzoletto al collo.

I giochi di allora erano ovviamente il Palio, preparato nei minimi dettagli (cavalli e fantini, mossiere, i trombetti, il drappellone dipinto a turno, le fruste vere di alloro intrecciato che lasciavano il segno), le partite a “tappini”, murino, piaccella, nascondino, guardie e ladri, pamela, rella, palla prigioniera, scaloncino, sbarbacipolle. Poi c’era l’attesa impaziente e trepidante per la festa del Santo Patrono, in cui i ragazzi si potevano cimentare nei giochi di sempre, concepiti soprattutto per far riempire la pancia a qualcuno: il palo della cuccagna, le padelle, il gioco della pastasciutta e dei cocomeri.

Il rapporto con la Contrada era nettamente differente rispetto ad oggi, i giovani entravano nella sede dell’Istrice con un senso di timoroso rispetto, perché inconsciamente si sentivano parte di una grande realtà. Come scrive ancora Alessandro Amidei: “era Istrice, senza che nessuno ce lo avesse mai detto, la strada dove noi si giocava, i muri delle case, i lampioni, il chiesino del S. Cuore. Era Istrice la pianta di basilico su quel davanzale, le lenzuola bianche stese ad asciugare sopra l’archino ed il rumore che faceva il sor Enrico battendo il martello. Era Istrice il canarino di Anita eternamente appeso alla persiana e Diana, la cagna pulciosa di Cipressino, era Istrice. Eravamo Istrice noi ragazzi tutti e nessuno mai sarebbe riuscito a dimostrarci il contrario”.

Bibliografia:

Amidei A., Quelli della banda del Pignattello, in “L’Aculeo”, periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 1, 1982, p. 3

Ghezzi S., Vilma Cortecci, classe 1925, in “L’Aculeo”, periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 2, 1998, pp. 6-8

Gradi S., Pronti: parte il centro storico, in “L’Aculeo”, periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 2, 1983, p. 1

Pasquini E., Il Pignattello degli anni ‘30, in “L’Aculeo”, periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 3, 1999, pp. 12-13

Petricci S., Camollia non sarà più la stessa senza la bottega di Omero, in “L’Aculeo”, periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 5-6, 2013, pp. 26-27

Mattioli A., Vent’anni di Latte, in “L’Aculeo”, in periodico della Contrada Sovrana dell’Istrice, n. 1, 1994, p. 9

Fonti:

Burrini S. (cura di), Aneddoti e storie di Contrada, n. 1 e 2, 2009, dvd prodotto dalla Contrada Sovrana dell’Istrice

Note: Le botteghe erano luogo di ritrovo, di conversazione, e cosa importante erano l’identità della famiglia che le gestiva, venivano “tramandate” di padre in figlio; oggi di quella realtà resta l’ultimo esempio nella bottega di ciclismo dei fratelli Rossi, all’inizio di via Camollia; generazioni di senesi sono passate da lì per acquistare la prima bicicletta o per una veloce riparazione.

Autore scheda: Contrada Sovrana dell’Istrice, Paolo Marconi

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