Il gioco della tombola

Luogo: Via del Paradiso – Siena

Contrada: Contrada del Drago

Data/periodo: XVIII, XIX secolo

Descrizione: La tombola non è certo un gioco tipicamente senese, ma a Siena il gioco della tombola ha avuto profonde connessioni con l’ambiente delle Contrade e quindi del Palio, con conseguenti riflessi di tipo sociale vista la tipologia delle persone che tale attività hanno animato. I “tombolai” – così si chiamavano i giocatori – costituivano veramente un gruppo sociale a parte: non erano tutti poveracci, erano certamente tutti fanatici di questo gioco; molti di loro erano anziani in pensione. Tutte le diciassette Contrade o, meglio, tutte le diciassette Società di Contrada, tenevano, due volte alla settimana, la loro tombola, seguite in questo anche da altre associazioni, per arrivare a circa quaranta-cinquanta tombole settimanali.

Negli anni Settanta si passò ad una sola tombola settimanale. Venivano vendute 500 cartelle cartacee, ciascuna costituita da sei lettere. Ogni lettera era una tradizionale cartella della tombola con 15 numeri. Una cartella conteneva quindi tutti i 90 numeri, ciascuno una sola volta. C’era la gabbia, girata a mano con apposita manovella, dentro la quale rotolavano le ghiandine, cilindretti di acciaio ciascuno con dentro il fogliettino arrotolato contenente il numero; c’era il tabellone, fatto con tessere girevoli e poi più modernamente trasformato in tabellone luminoso.

Il personale: uno vendeva le tessere, e poi andava a girare la gabbia e un altro bandiva i numeri estratti; un bambino, sul seggiolone (simbolo di innocenza e di assoluta imparzialità), pescava i numeri estraendoli da una apposita apertura della gabbia. Prima fase: la vendita delle cartelle. I tombolai prendevano posto in fila di fronte al portone della Società ancora chiuso, finché l’incaricato di turno non apriva. Qualcuno teneva il posto a qualcun altro che faceva già la fila per un’altra tombola in un altro posto… All’ora esatta prevista iniziava la vendita: non si potevano acquistare più di dieci cartelle per volta, ma ci si poteva rimettere in fila per prenderne altre.

Il pericolo: vendere le cartelle sbagliando l’ordine di fila, perché il titolare del posto era momentaneamente assente. In questo caso poteva succedere di tutto: l’ordine della fila era per i tombolai un segno intoccabile della sorte, cambiarlo voleva dire alterare l’esito del gioco, stravolgere il destino. Chi vendeva le cartelle doveva avere tanta attenzione; c’era anche il rischio di essere trattati molto male. Finita la vendita dopo un’oretta cominciava il gioco. Perché aspettare un’oretta? Perché se si fosse ritardato l’inizio della vendita scoppiava la rivoluzione, e non si poteva cominciare il gioco in anticipo rispetto all’ora canonica perché si doveva aspettare l’arrivo di quelli che erano a far tombola da un’altra parte e s’erano fatti comprare le cartelle da qualcun altro.

Sull’inizio della vendita e sull’inizio del gioco ci si poteva rimettere gli orologi da quanto dovevano essere esatti. In una nuvola di fumo di sigarette e sigari iniziava il gioco. La gabbia andava girata quindici volte in senso orario e quindici in senso antiorario, sempre con la stessa velocità. Un senso del tempo innato in ciascun tombolaio faceva immediatamente avvertire se avevi girato troppo veloce (“o cittino, che c’hai furia?”), e se andavi lento te lo passavano una volta, due no. Finiti i giri, si apriva lo sportellino, il bambino estraeva la ghiandina e la passava al banditore. Richiudere bene lo sportellino della gabbia dava attimi di profonda apprensione: chiuderlo male voleva dire veder cadere di fuori le ghiandine! A volte è successo, ed i tombolai hanno preteso di ricontare tutte le ghiandine ricontrollando anche i numeri in esse inserite. C’era da farci notte. Durante il gioco, osservare i tombolai significava guardare uno spaccato di umanità veramente particolare.

Un nome su tutti: Norma, la fioraia. Comprava le sue cartelle e le teneva impilate da una parte, senza mai guardarle e senza segnare i numeri: le sapeva tutte a memoria! Poi c’era quella che stava sempre da sola; lei non voleva altri vicini “perché le portavano rogna”, e gli altri non la volevano allo stesso tavolo perché “portava rogna lei…”. E poi c’erano gli accordi, quando il gioco entrava nel vivo, le cosiddette “salve”, come nel Palio. “Se fo tombola io, do qualcosa a te, se vinci te lo dai invece a me”. E tutti si controllavano a vicenda fino al grido di “tombola!” seguito, inevitabilmente, da un coro di offese al vincitore (“buconeee!” era il più tradizionale) e da una discreta sequenza di moccoli. Finita la tombola tutti se ne andavano, lasciando i tavoli ingombri di cartelle ormai inutili e una nube di fumo, mentre i vincitori del terno, quaterna, cinquina, tombola e tombolino riscuotevano il premio. Il bambino attendeva trepidante la mancia, che variava a seconda della generosità del tombolaio. Tra le parolacce che seguivano il “tombola!”, la prima era quella del bambino, se il vincitore era ritenuto un taccagno.

La tombola di Siena aveva i suoi legami con il Palio. Ogni Contrada ha un suo numero di cabala, e l’uscita di quel numero suscitava commenti tipicamente palieschi, con adeguate risposte. Alla tombola prima del Natale, la Società faceva trovare sul tavolo, ad ogni tombolaio, un panettone ed una bottiglia di spumante che non era certo tra i migliori. Quando uno spumante non piace, si sente ancora dire “o che hai preso, lo spumante dei tombolai?”. Oggi la tombola non la fa più nessuno, certamente qualcuno risparmia dei soldi, ma si è perso un pezzo di popolare umanità.

Video:

La tombola (conversazione tra Domenico Smorto e Mario Demuru, Archivio della Contrada Priora della Civetta, 2014)

Autore scheda: Contrada del Drago, Marco Lonzi

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