Vignette senesi

Luogo: Piazzetta Virgilio Grassi, 6 – Siena

Contrada: Contrada del Leocorno

Descrizione: Nella storia dell’uomo, molti sono stati i tentativi di raccontare fatti per immagini, e questo in varie chiavi. Potremmo citare vetrate gotiche, miniature medievali, cicli pittorici quattrocenteschi e chi ne ha più ne metta. Non sempre è evidente il rapporto di discendenza tra certi esempi di arte sequenziale e quello che è il fumetto moderno, in cui con un numero ristretto di segni e/o di parole si racconta una storia, il più possibile incisiva e completa.

La vignetta rappresenta in questo senso il massimo ottenibile in termini di concisione e icasticità. Tralasciando le barzellette illustrate tipiche di tanti periodici, la vignetta per antonomasia può considerarsi quella che fa della satira la sua arma vincente. Non si ha più quindi un disegno che “fa ridere”, si ha piuttosto una scenetta che fa, sì, sorridere, ma la cui funzione principale è quella di irridere.

A Siena la satira, espressa già da sempre in stornelli e filastrocche di origine popolare, non poteva non esprimersi nell’ambito dei rapporti tra Contrade. Soprattutto rivolgendosi alla Contrada avversaria e, occasionalmente, alle Consorelle di volta in volta ripurgate.

Ci sono state eccezioni di assoluto rilievo, ad esempio le vignette e gli articoli che comparivano su periodici cittadini, primissimo tra tutti “il Mangia” del compianto Tambus, rivolti soprattutto ad episodi e personaggi legati alla vita politica e sociale dell’intera città.

Satira quindi non prettamente contradaiola, ma che era parto di autori senesi e che si specchiava nello stesso spirito sferzante di quella legata in maniera più stretta all’ambiente paliesco.

Le vecchie foto delle feste di Contrada mostrano come si usasse inalberare cartelli illustrati da vere e proprie vignette satiriche, portati in giro a scorno delle avversarie durante le varie “uscite col cencio” e che spesso finivano a decorare i muri del rione in occasione delle cene della vittoria.

Erano pervase da un umorismo semplice e popolaresco, sanguigno e  ruspante ben lontano dai veri e propri capolavori nel genere come sarebbero poi state le opere dei vari Ghino, Castelli, Tambus, Ticci, Cerasoli e tanti altri, fino all’insuperato Emilio Giannelli.

Ma la tradizione dimostrò solide basi, rimanendo tutto sommato viva anche in tempi in cui si cominciava ad organizzare feste faraoniche, con scenografie da kolossal e, spesso, supervisione di professionisti neanche sempre troppo legati alla Contrada.

Quando i Numeri Unici nacquero, negli anni ’30 del Novecento, la satira in generale e la vignetta in particolare ve la facevano senz’altro da padrone. Solo in seguito, con l’evolversi di queste pubblicazioni e con l’accrescimento del livello culturale medio, il Numero Unico diventò quell’oggetto curato e quasi prezioso che è adesso, contenente, oltre alle foto e agli articoli canonici sul “quanto siamo bravi noi”, anche note storiche, riferimenti culturali, poesie “serie” e molto molto altro.

Ma le vignette non ne sono comunque mai scomparse, a testimonianza della loro efficacia e a conferma della loro vitalità.

E non è raro che, nonostante i limiti imposti dalle leggi sull’affissione e la stortura di qualche farisaica bocca, i contradaioli festanti per la propria vittoria o per l’altrui sconfitta, nottetempo appongano vignette e adesivi in giro per la città, con particolare preferenza per il territorio dell’Avversaria o per il Corso, a perpetuare quella tradizione di sfottò esercitato e subìto che è sale, pepe e adrenalina nei rapporti tra le Consorelle.

Note: La tradizione della satira è antichissima, nobilitata da autori come Aristofane, Ennio, lo stesso Orazio. Passa attraverso il Medioevo ma si afferma in modo esplosivo con l’Illuminismo, diventando, oltre ad un forte strumento di denuncia sociale, un veicolo privilegiato di derisione per chi della satira stessa è oggetto. E ben pochi sono quelli che sono sfuggiti alla sua scure: in Francia si satireggiava sui cortigiani e sul re, nella Roma papalina le “Pasquinate” non risparmiavano nemmeno il pontefice, per dare un’idea persino uno dei fondatori del mondo moderno come Charles Darwin si vide più volte ritratto in vesti di scimmia! In Italia la satira si affermò a livelli di eccellenza già dall’era giolittiana e per tutto il periodo fascista. Nomi come Galantara, Podrecca, Maccari, Guareschi, Tofano, persino Saul Steinberg legarono il proprio nome a testate mitiche come “L’Asino”, “Il Becco Giallo”, “Il Marc’Aurelio”, entrando a buon diritto tra le icone del periodo compreso tra la Belle Epoque e il secondo dopoguerra.

Autore scheda: Contrada del Leocorno, Marco Neri

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