Palazzo Bianchi a Siena

Luogo: Via Roma, 2-18 – Siena

Contrada: Contrada di Valdimontone

Data/periodo: La prima facciata dell’edificio risulta ultimata nel 1795 per volere di Anton Domenico Bianchi; l’intero edificio, fatto rinnovare e ampliare dal figlio Giulio, fu inaugurato nel 1804, ma già nel 1811 è annotato un ulteriore ampliamento del giardino e nel 1812 la ristrutturazione della cappella. L’ultimo restauro delle facciate, riportate alla colorazione originale, risale agli anni 1997-1998

Descrizione: Nel 1791 la famiglia Bianchi acquistò l’area occupata in precedenza dal Monastero di Ognissanti, soppresso con la legge leopoldina del 1783. Il convento ed alcune case attigue vennero pian piano demolite per lasciare spazio al grandioso palazzo con parco iniziato su commissione di Anton Domenico Bianchi e ultimato dal figlio Giulio, uomo di spiccato ingegno e dotato di una vera passione per l’arte, che realizzò un vero gioiello neoclassico nel cuore della contrada di Valdimontone.

Il progetto dell’edificio si deve alla mano di Giovanni Bartalucci, rinomato architetto senese, e dei suoi allievi Serafino Belli e Lorenzo Santi. L’architetto Bartalucci riunì in questo monumentale edificio gli aspetti classicistici e protoneoclassici della cultura senese della fine del Settecento fino ad arrivare alla creazione di un edificio in cui prevale l’idea del bello puramente neoclassica.

Dagli scritti rinvenuti nel Diario di Antonio Bandini sappiamo che in data 28 luglio 1796 veniva mostrata la facciata di fronte “alle fonti del Ponte con il color verdino, ornati alle finestre, cornicioni sotto alle medesime, come pure sotto la gronda del tetto”; la tonalità scelta per l’intonaco viene definita da Gabriele Borghini “quasi un leit-motiv” tanto era utilizzata per tinteggiare i paramenti murari di quegli anni. Nel 1802 erano terminati la facciata principale, il pronao di sapore palladiano che si affaccia sul giardino ed il cortile interno decorato sulle pareti da busti di foggia antica e con al centro la figura di Ercole. La ristrutturazione dell’edificio non fu sufficiente per Giulio Bianchi che, per nobilitare l’intera via, fece intonacare anche otto case di fronte al suo palazzo.

La decorazione interna ebbe inizio nel 1803 per mano del milanese Luigi Ademollo, pittore squisitamente neoclassico, che eseguì per il committente, con il quale condivideva lo stesso amore per lo spettacolo, uno dei suoi migliori cicli di affreschi. Il soffitto, affrescato con le Nozze di Alessandro e Rossane è caratterizzato da una serie ornati alla maniera di Ercolano; al di sotto di un padiglione in tessuto le scene si susseguono in un’atmosfera serena accentuata dall’utilizzo di colori pastello. Per questo affresco è stata ipotizzata la collaborazione del giovane pittore livornese Vincenzo Dei, certamente meno dotato del maestro, ma che riuscì a prendere un posto di rilievo nel cuore del Bianchi tanto da essere eletto a suo pittore personale. Tra gli altri che parteciparono alla grandiosa impresa decorativa è degno di essere ricordato il luganese Pietro Rossi, autore di pregevoli stucchi. Il cantiere di Palazzo Bianchi vide il debutto di questo artista, estremamente preparato e attento alle innovazioni, si ispirò al gusto Chippendale inserendo nei suoi lavori cammei, vasi, ghirlande e grifi.

L’edificio venne completato con mobili “alla francese”, commissionati ad artigiani senesi già a partire dal 1802 in stile Direttorio e Impero.

Il giardino fu abbellito da due tempietti dorici, uno a pianta rettangolare, tuttora in loco, e l’altro circolare, oggi spostato nel giardino della villa La Posta presso Monteriggioni. Busti, sedili, statue, noti da una cronaca del 1804, sono scomparsi probabilmente durante l’ampliamento del 1811 per realizzare un bosco “all’uso francese”. Andato perduto anche il teatro con il sipario dipinto dall’Ademollo mentre la cappella originale fu ampliata nel 1812 per ospitare la Madonna del Presepio, posta in origine sull’altar maggiore della Chiesa di Ognissanti, la statua del Beato Bernardo Tolomei di Pasquale Bocciardo e un’Assunzione della Vergine di Jacopo Ligozzi provenienti dall’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

Il palazzo fu teatro di numerose feste tra cui merita di essere ricordata quella del 19 agosto 1804 descritta nel Diario del Bandini, alla quale partecipò Maria Luisa di Borbone, Regina d’Etruria, che, trovandosi davanti a tanto splendore, si complimentò con queste parole “avete un palazzo che si può rassomigliare ad un paradisino”; forse questa fu l’occasione in cui, come narra Vasco Bruschelli riferendosi all’inaugurazione dell’edificio, il Cavalier Bianchi fece mettere “all’angolo del Ponte un massiccio montone di legno che per tutta la mattina versò vino dalla bocca a disposizione di tutti coloro che volevano gradire”.

Bibliografia:

Borghini G., Architettura e colore dell’edilizia civile a Siena nel XVIII secolo: il livello e la regola, in “Bollettino d’Arte”, Supplemento ai nn. 34-35, 1986, pp. 77-79

Bruschelli V., Origine e Storia del Rione e della Contrada di Val di Montone, Siena, Industria Grafica Pistolesi Editrice “Il Leccio” di G. Targetti, 2004, p. 59

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Ceccherini F., Platania C. (a cura di) Tra Arte e Restauro. Catalogo delle opere d’arte restaurate nel territorio toscano dalla Ditta Voltolini Mario 1980-2003, Monteriggioni (SI), Industria Grafica Pistolesi Editrice “Il Leccio”, 2004, pp. 56-59

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Fonti:

Bandini A.F., Diario Senese, 1785-1808, Biblioteca Comunale di Siena, Ms. D.III.1-23, 1802, c. 93r; 1804, c. 143r

Note: Sul muro esterno del giardino del palazzo, sul lato lungo via Roma, è posto un tabernacolo che fino al secolo scorso ospitava un bassorilievo raffigurante una Madonna col Bambino, proveniente dalla scomparsa chiesa della Maddalena, oggi sostituito con una Madonna in ceramica; la cornice originale reca ancor oggi la data del 1477 e uno stemma con la spada nella roccia appartenente ai monaci di San Galgano. Il tabernacolo è attribuito a Giovanni di Stefano, figlio del celebre pittore Stefano di Giovanni detto il Sassetta. Da notare anche, come riporta la lapide posta sulla facciata, che in una delle case su cui sorse Palazzo Bianchi nacque l’umanista Pier Andrea Mattioli.

Autore scheda: Contrada di Valdimontone, Cristiana Platania

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