Il monastero di Sant’Antonio al Bosco e la Francigena- Poggibonsi

Luogo: Sant’Antonio al Bosco

Comune: Poggibonsi

Data/periodo: 1167

Descrizione: Poco sappiamo della fondazione dell’antico romitorio: la prima notizia documentaria che ci attesta la presenza del monastero e della primitiva chiesa di S. Antonio del bosco è una cartula venditionis del 1167. È da questo momento che, anche se in maniera frammentaria, possiamo ripercorrere la vita e le sorti di quei pochi eremiti che, forse nell’XI secolo, scelsero di ritirarsi a vita spirituale nelle vicinanze della Silva Maior.

L’eremo di S. Antonio del bosco, che durante i secoli ha avuto diverse accezioni come Heremus Sancti Antoni de Silva Maiore, Heremus Sancti Antoni Lacus viridis (per il colore del laghetto adiacente), S. Antonio dei confini e Monastero dei Laghi Ambrosiani, era ubicato in una posizione di confine tra i territori di predominio senese e fiorentino, strettamente legato alle vicende del castello di Staggia e per questo più volte sotto il controllo dell’una e dell’altra fazione. Si trovava in una zona boscosa e malsana, ai limiti settentrionali del “Padule del Canneto”, ma allo stesso tempo lambita dal nuovo tracciato della via Francigena detto “delle due Badie”, che attraversava proprio la Selva Grande vicino al laghetto oggi chiamato S. Antonio.

La Via Francigena, antico itinerario che dalla Gran Bretagna, entrando in Italia, collegava le principali  città-santuario di Santiago di Compostela,  Roma fino a Costantinopoli e Gerusalemme, attraverso un sistema di itinerari convergenti in hospitales ed edifici religiosi, attraversava infatti anche il territorio di Monteriggioni, dove ancora oggi sopravvive una delle più antiche tappe di pellegrinaggio: l’abbazia di Abbadia Isola.

L’antico percorso passava a fondovalle vicino all’abbazia, ma la vicinanza della palude e del lago, spesso lo rendeva impraticabile, per questo ne esistevano numerose varianti che si inoltravano sulla Montagnola.

Proprio i bacini lacustri, dalle acque limpide e pescose, avranno attirato sia gli eremiti di S. Antonio che i monaci di Abbadia a Isola, che nei rispettivi laghetti potevano trovare buon pesce da alternare alla povera dieta alimentare e acqua per coltivare quei semplici ortaggi necessari alla propria sussistenza; i monaci di S. Antonio, infatti, vivevano delle elemosine e dei lasciti testamentari, nonché dei contribuiti che il Comune di Siena elargiva agli eremi del contado e di città.

Dal 1000 al 1100, dunque, gli eremiti di S. Antonio vissero senza una regola ben precisa, ma il crescente legame con i laici ben presto portò alla scelta di vivere conventualmente e darsi una disciplina monastica. È dalla metà del XIII sec. che S. Antonio, come molti altri eremi toscani, sceglie la Regola Agostiniana ed è a questo momento, dunque, che forse possiamo far risalire la forma architettonica monastica, tuttora visibile, e immaginarci un buon nucleo di monaci che animavano e percorrevano i corridoi del convento per adempiere alle attività quotidiane e liturgiche.

Nonostante la penuria della documentazione, sappiamo che, prima della peste nera del 1348, il monastero di S. Antonio godeva di un buon prestigio; ne è testimonianza la tavola della Madonna della Consolazione della metà del Trecento e la lapide (oggi visibile nella nuova chiesa) che copriva la tomba di Fra’ Francesco da Siena, morto nel 1336, sulla quale è riportato l’appellativo di lector , lettore. Nel convento, infatti, era presente uno studio per la formazione al sacerdozio di giovani religiosi, una biblioteca da coro e un archivio con ben tredici bolle papali.

Dopo un periodo di relativo prestigio e benessere, alla fine del XV sec., sembra che il monastero sia pressoché abbandonato dai monaci e definitivamente affidato ai religiosi di Lecceto che ne curano il restauro e l’ampliamento, dotandolo del bel loggiato ancora visibile.

Nel periodo dell’abbandono, alcuni beni  del monastero erano stati usurpati dai laici, tant’è che nel 1492, su ordine del Papa, il Preposto della cattedrale di Siena “scomunica i detentori e gli usurpatori dei beni del Monastero di S. Antonio del Bosco”.

Sul luogo dove sorgeva l’antica chiesetta, della quale rimane solo un paramento in conci di travertino inglobato nel chiostro, resta ancora oggi visibile il convento del Cinquecento, che, verosimilmente, si sovrappone nelle forme e nelle modificazioni architettoniche al primo complesso monastico.

Molto del materiale di recupero dell’antico eremo, conci di travertino e calcare, sono stati utilizzati per edificare la chiesetta neoromanica a due navate, costruita nel Novecento esternamente all’edificio conventuale, lungo la strada di accesso al complesso monastico.

Nonostante sia evidente la falsità dell’edificio è importante leggere l’approccio filologico nel ricostruire la chiesetta: ad esempio le finte buche pontaie sono state ricoperte da conci di tonalità diverse che rimandano ad una tecnica costruttiva non usata nel cantiere novecentesco.

Sembra materiale originario, anche se rimontato, il piccolo portale di sinistra, i conci di base delle absidi e lo stemma presente nella lunetta del portale principale.

Bibliografia:

AA.VV, Chiese medievali della Val d’Elsa. I territori della Via Francigena – Tra Siena e San Gimignano, Empoli, Editori dell’Acero, 1996

Filippone M., Sant’Antonio del Bosco. Un monastero dimenticato nella Val d’Elsa senese, Siena, 2001, Tipografia Senese Ed.

Repetti E., Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana, 1, Firenze 1883

Stopani R., La Via Francigena. Una strada europea nell’Italia del Medioevo, Firenze, 1988, Le Lettere Ed.

Links:

Valdelsasenese

Note: Attualmente l’antico Eremo di S. Antonio al Bosco è stato affidato come luogo di accoglienza all’Ufficio Famiglia della Diocesi di Siena per svolgervi attività pastorale verso le famiglie e accompagnare le coppie in itinerari di formazione e preghiera.

Autore scheda: Cristina Cicali

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento