Brandano, apostolo e profeta

Luogo: Petroio

Comune: Trequanda

Settore di riferimento: Religione

Data/periodo:  Presunto anno di nascita 1486 – data di morte 24 maggio 1554

Descrizione: Bartolomeo da Petroio, detto “Brandano”, è un personaggio insolito. Deriso e venerato, è considerato apostolo e profeta e indicato come “il pazzo di Cristo”.

Pochi sono i documenti a lui riferiti. Nasce a Petroio presumibilmente nel 1486 da genitori contadini. Dai registri della Compagnia di Sant’Antonio Abate risulta iscritto come Bartolomeo di Savino, nome che sarebbe riconducibile a quello del padre. All’epoca, infatti, per i contadini non era stato ancora introdotto il cognome; tuttavia, in alcune cronache, Brandano compare come Bartolomeo Carosi o Garosi. La madre, di nome Bartolomea, ebbe altri due figli: Costanza e Anselmo.

La famiglia viveva a Petroio, prima in un podere detto Poggio Ragnuzzi e successivamente a Poggio Martini e Artisena. Dopo il trasferimento nel territorio di Montefollonico, Bartolomeo sposò la giovane Francesca, detta Cecca. Secondo alcune cronache, in queste terre avvenne la sua conversione. Bartolomeo ebbe infatti una giovinezza sregolata, dedita al gioco e alla bestemmia. Un giorno, zappando la terra del suo campo, una scheggia di pietra lo colpì sulla fronte e nella pupilla dell’occhio sinistro. Bartolomeo interpretò l’evento come un segno divino: confuso e pentito, fu conquistato da un predicatore giunto nelle sue terre, Padre Serafino da Pistoia dei Frati Minori Osservanti, e nel 1526 decise di cambiar vita e servire Dio, convertendosi con fervore al cristianesimo. Predicò prima a Montefollonico e poi a Petroio e nei paesi vicini, esortando alla devozione e alla misericordia e conducendo la vita in preghiera, astinenza ed esasperata penitenza.

Le cronache lo indicano come Terziario dell’ordine degli Agostiniani, descrivendolo vestito di un bianco sacco di lino, la testa “scoverta”, scalzo, con un crocifisso in una mano e un teschio nell’altra. Giunto a Siena, visse di elemosine, penitenze e stenti e venne accolto nella Compagnia di Sant’Antonio Abate. Predicò in tutta la Toscana e in ogni città dello Stato della Chiesa, raggiunse i luoghi di culto più celebri d’Europa, visitò più volte il santuario di San Giacomo a Santiago di Compostela, si fece conoscere in Germania, Francia e Spagna, ovunque esclamando “Fate penitenza che la morte viene!”.

Sempre contro il potere, la ricchezza e la corruzione, aspirando al rinnovamento della Chiesa, Brandano giunse a Roma, dove si presentò alla corte pontificia ammonendo e insultando i cardinali e perfino Papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), che lo imprigionò più volte e alla fine lo fece gettare nel Tevere, chiuso in un sacco e incatenato. Secondo la tradizione, Brandano riemerse prodigiosamente dalle acque del fiume e si recò nuovamente a Siena, dove per le sue manifestazioni antispagnole fu arrestato, torturato ed esiliato (vi fece poi ritorno nel 1551 e contribuì alla resistenza della città all’invasione dei Medici).

A Brandano sono attribuiti vari prodigi, avvenute profezie, guarigioni miracolose; è conosciuto in particolare per l’opera di assistenza ai malati e ai bisognosi e per la vocazione nell’educazione religiosa dei fanciulli. In vita, nonostante le calunnie e la persecuzione, ricevette consensi e protezione da illustri personaggi, oltre che dal popolo.

Morì a Siena il 24 maggio 1554, in una casa vicino alla colonna di San Giusto, poco prima che si avverasse la sua profezia sulla caduta della città. Dopo la morte, i frati della Compagnia di Sant’Antonio si occuparono di far onorare Brandano: la salma fu trasportata nella chiesa di San Martino ed esposta ai fedeli per tre giorni; nella stessa chiesa fu interrato (anche se non vi è traccia del luogo preciso). Nel 1612 l’Arcivescovo di Siena, Camillo Borghesi, pubblicò un editto in cui esortava i Senesi a venerare Brandano e a proclamarlo Beato. Tuttavia, la Chiesa non ha poi portato avanti il processo di beatificazione.

Di Brandano sono visibili due ritratti, entrambi a Siena: uno nella chiesa di Santa Maria in Provenzano, opera di Bernardino Mei; l’altro, attribuito ad Anselmo Carosi (o Garosi, nipote di Brandano), si trova presso il Museo dell’Arciconfraternita di Misericordia di Siena, che custodisce anche altri preziosi oggetti a lui appartenuti: il crocifisso, il teschio, la catena, il cilicio e il sacco che costituiva la veste.

Bibliografia:

Bacci P., I misteri di Trequanda, Firenze, Angelo Pontecorvo Editore, 2009, pp. 10, 61-66

Cornice A., Anselmo Carosi, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 20, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1977

De Caro G., Bartolomeo da Petroio detto Brandano, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 6, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1964

Gianini Belotti, E., Trequanda & Dintorni, San Quirico d’Orcia, Editrice Donchisciotte, 1997, pp. 78-82

Guastaldi, A., La Fratta. Notizie Storiche, in “Quaderni Sinalunghesi”: La Fratta, Anno VII, n. 1, settembre 1996, pp. 6-8

Machetti, B., Bartolomeo Garosi il Brandano, Chiusi, Edizioni Luì, 1994

Pecci G.A., Vita di Bartolommeo da Petrojo chiamato dal volgo Brandano, Ovvero notizie istoriche, raccolte, e ripurgate dà fatti apocrifi e favolosi del medesimo, Siena 1746; Id. Notizie storico-critiche sulla vita e azioni di Bartolomeo da Petrojo, chiamato Brandano. Raccolte, ricorrette ed ampliate, Lucca, 1763; Ristampa Edizioni Sanesi, Siena, 1991

Torriti, E., Castelmuzio. Storia di un piccolo castello fortificato, Cortona, Ed. Grafiche Calosci, 1991, pp. 64-65

Autore scheda: Angela Barbetti

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