Pieve di San Giovanni Battista alle Ville di Corsano
Luogo: Ville di Corsano
Comune: Monteroni d’Arbia
Data/periodo: Anno di consacrazione: 1189, secondo alcuni studiosi la chiesa era già esistente dal X o XI secolo, numerosi interventi di modifica e di restauro furono effettuati in epoche diverse: attorno Trecento, tra fine XVI e inizi XVII secolo, nel 1850 forse dopo un incendio, nel 1909-1911 successivamente a un forte terremoto, ulteriori interventi di consolidamento nel 1983
Descrizione: La località di Corsano, su cui sorge la Pieve di San Giovanni Battista, ha origini antiche, è attestata come dominio del re Berengario II dall’anno 850. Della chiesa invece si hanno le prime notizie certe nel 1189, data di consacrazione, incisa anche in una lapide interna. Da alcuni documenti anteriori emerge però che una chiesa a Corsano esisteva già in precedenza, con il titolo a S. Maria, poi cambiato in quello attuale a S. Giovanni Battista. La chiesa dedicata alla Vergine sarebbe documentata dal 1080, o addirittura dal X secolo, mentre secondo la tradizione popolare sarebbe stata fondata agli inizi del Mille dalla Contessa Ava Matilde Signora di Montemaggio, fondatrice anche della Badia Isola nell’anno 1001.
Le antiche origini sarebbero confermate da alcune decorazioni animali, fitoforme e a intreccio di matrice preromanica. Inoltre attestano il prestigio della pieve la pianta basilicale, rintracciabile in pochi altri esempi di area senese, quali Badia a Isola e San Giovanni Battista a Ponte allo Spino, insieme al fatto che Corsano contava sotto la sua dipendenza ben undici chiese.
Si può considerare tra i maggiori esempi di architettura senese in stile Romanico, benché il suo stile sia composito, per via di inserimenti gotici e di ristrutturazioni di epoche diverse in più parti; conservano i caratteri originari la prima campata, l’abside di destra, la facciata e le pareti laterali.
Il prospetto esterno è diviso in due ordini da una spessa cornice marcapiano, al primo livello sono ampie archeggiature cieche, ispirati a modelli pisani reinterpretati in chiave lombarda, come accade per Badia a Isola e Ponte allo Spino. Ai pilastri sono addossate colonne con capitelli a motivi vegetali, geometrici e antropomorfi, che si ripetono anche nella parte superiore, caratterizzata da esuberanti archetti pensili e colonnette che poggiano sul marcapiano. Il tutto si conclude con un ampio timpano triangolare; sul fianco sinistro si trova il campanile, a cui è stata posteriormente aggiunta una vela gotica e che in origine era probabilmente separato dal resto dell’edificio.
L’interno è organizzato in tre navate, con semipilastri addossati nella controfacciata e pilastri compositi nella prima campata.
Le arcate aumentano di dimensione verso l’abside, quelle realizzate in laterizio appartengono ad una fase posteriore, probabilmente al restauro effettuato per adeguarsi ai canoni della Controriforma tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo quando furono costruiti nuovi altari laterali in marmi policromi e stucchi. Non è da escludere però che l’intervento sia precedente, infatti, la chiesa già attorno al Trecento subì dei rifacimenti, che andarono a modificare l’originario assetto di matrice lombarda. A questo periodo sono riconducibili la sopraelevazione della navata centrale e l’introduzione dei pilastri quadrangolari, su cui poggiano le arcate della seconda, terza e quarta campata e che dovevano essere in origine pilastri cruciformi o a fascia.
Nel Seicento la pieve iniziò un lento declino a causa delle calamità che colpirono la zona e del conseguente spopolamento. In un inventario del 1818 sono documentati due altari dedicati alle Compagnie laicali al tempo attive presso la pieve, quella di Sant’Agata e quella del Rosario.
Altri restauri furono compiuti dopo gravi scosse sismiche agli inizi del Novecento, per cui la chiesa resta per molto tempo inagibile e le funzioni liturgiche sono celebrate nella vicina Cappella del Beato Franco. Insieme al consolidamento si operò l’eliminazione delle decorazioni barocche, tra cui l’altare della Madonna del Rosario, per riportare la chiesa all’aspetto originario.
Il patronato della chiesa era della nobile famiglia senese dei Sansedoni, sull’altare era originariamente collocata una grande tela raffigurante Dio Padre benedicente, i santi Domenico, Caterina da Siena, Sebastiano e il membro più noto della famiglia, l’amato beato senese Ambrogio Sansedoni. Vissuto nel XIII secolo, il beato Ambrogio fu conosciuto e apprezzato in molte città italiane, ma anche a Parigi e in Germania, e fu un grande studioso ed oratore, tra i suoi compagni di studi furono personalità del calibro di San Tommaso D’Aquino e il futuro Papa Innocenzo V.
La tela, di anonimo artista senese del primo Seicento, riflette l’influenza di Rutilio Manetti, nell’attenzione naturalistica e nel forte chiaroscuro, e di Francesco Vanni, in particolare negli incarnati soffici degli angioletti di matrice baroccescha e nei volti scavati dei santi.
Nel 1840 il dipinto fu tagliato al centro per inserirvi la quattrocentesca Madonna col Bambino e angeli di Guidoccio Cozzarelli, donata dai Sansedoni. La piccola icona centinata fu oggetto di grande devozione, come testimoniano i numerosi ex-voto che la circondavano, e per lungo tempo è stata attribuita a Matteo di Giovanni, di cui Guidoccio fu allievo. Qui la Vergine è rappresentata con gli occhi dal taglio sottile e la bocca sinuosa e con aria assorta fissa obliquamente lo spettatore, mentre il bambino afferra la sua mano e i due angeli dai boccoli biondi si affacciano con aria amorevole alla spalliera del trono; tutti dettagli che ricordano i modi del Maestro.
Oggi è conservata presso il Museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia (Buonconvento) insieme alla tela in cui era inserita e ad altre opere che ornavano la pieve: le due grandi lunette di Alessandro Casolani, Annunciazione e Natività, commissionate nel 1597 dal gentiluomo senese Pirro Forteguerri e tipico esempio di pittura controriformata nella loro serena intimità domestica, e la Madonna del Rosario e San Domenico di Giovanni Paolo Pisani, pittore attivo a Siena nei primi decenni del Seicento. La tela, che disegna con tinte liquide un’atmosfera intima e serena, sostituì la tavola del Cozzarelli che fu risistemata all’interno di un tabernacolo neogotico.
Resta ancora nella pieve, entro l’altare di sinistra, una scultura di Sant’Agata ritratta in ampie vesti e in atto di mostrare l’attributo del suo martirio, le cesoie con i seni recisi, con intensa compassione. La statua, in terracotta policroma, è variamente attribuita a Lorenzo di Mariano detto il Marrina o alla bottega di Carlo di Andrea Galletti e del figlio Giovanni Andrea, artisti attivi nella prima metà del XVI secolo e influenzati dal Beccafumi. Al culto di Sant’Agata sono legati i due affreschi a monocromo, recentemente riscoperti e collocati nella navata sinistra. Le scene mostrano due episodi agiografici, il Martirio di Sant’Agata e San Pietro libera Sant’Agata dal carcere, entrambi attribuiti ad Andrea Agravi, artista monaco degli inizi del Settecento. La fresca vena narrativa, quasi popolaresca, conserva il carattere esuberante tipico dell’epoca tardo barocca.
Bibliografia:
Don A. Cappelli, Storia di San Giovanni Battista a Corsano, Periccioli, Siena 1967
Guiducci A.M. (A cura di), Le Crete senesi, la Val d’Arbia e la Val di Merse, Ed. Mondadori, Milano, 1999, p. 50-53
Guiducci A.M. (A cura di), Museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia, guida del museo, Protagon Editori Toscani, Siena, 1998, pp. 56-57, 76-77, 136-37, 144
Randon V., Nardi F. D., La Pieve di San Giovanni Battista a Corsano, Compagnia Laicale di Sant’Agata, Siena 2011
Fonti:
Schede Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Siena e Grosseto N°: 00403019
Autore scheda: Fanti Agnese
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