Il canto del Maggio a Castiglione d’Orcia

Luogo: Castiglione d’Orcia

Comune: Castiglione d’Orcia

Data/periodo: Ne scrisse il Poliziano (1454-1494)  fino ad oggi

Descrizione: Ne scrisse il Poliziano (1454-1494) e forse si faceva anche qualche secolo prima, il canto del Maggio che a partire dal pomeriggio del 30 di aprile e fino al mattino del primo maggio riempie un’intera notte tra campagna e paese a Castiglione d’Orcia, è forse il più antico e più vero reperto di un’autentica tradizione popolare di questa parte di Toscana. Nulla hanno potuto i tempi, nulla ha potuto la generale inconsapevolezza:  “il Maggio” c’è ancora. Che diavolo ne potevo sapere io ragazzo, quando, passo dopo passo cercavo, furtivo, di inserirmi nel coro? Quale la spinta per i tanti  di noi così anziani a sfidare una notte intera col solo conforto del vino? “Spira aprile e Maggio nasce” l’ho visto scrivere proprio così; qui da noi, al mese di maggio, si accorda la maiuscola: è il nostro mese, ma pochi tra noi saprebbero dire il perché giacché la sua forma primitiva di antico rito agrario propiziatorio, seppur conservata nella forma espressiva, è svuotata del rapporto ossessivo e scaramantico che popolazioni interamente legate all’agricoltura avevano con i moti del cielo. C’è voluta la supremazia di culture influenzate dalle belle arti per condurre occhi poco motivati ad appropriarsi di quanto offriva il generoso estro di una natura capace di disegnare scenari di commovente bellezza. I madrigali del “Maggio” di Castiglione d’Orcia hanno intrecciato i temi e le influenze man mano che il centro urbano accresceva nei fatti e nelle menti la propria importanza, con esso sono cresciute le strofe agli sposini, alle fidanzate, ma anche alle “personalità”, sono cresciute le allusioni amorose, è cresciuto ad un tempo il verso di saluto e preghiera ma anche quello anticlericale e di classe, fino ai ricordi di soldatini esangui sfuggiti alla guerra e lo struggente ricordo di una intera generazione andata a lavorare e spesso a morire nella “Maremma amara” ( “senti il mare come geme…”).

Ecco forse perché ce ne stiamo tutti quanti incantati ad ascoltare un canto che solo alla seconda strofa  si fa melodioso ma che è, nel coro che segue, un rozzo grido d’amore, i temi che si sviluppano la sera del trenta di aprile in campagna e poi fino all’alba (“spunta l’alba e si veste di sole”) in paese, sono l’incantevole prodotto di secoli di storia di questa invisibile parte dell’universo, sono il miracolo di chi ancora cuce ciò che una forza che incombe su tutto vorrebbe lacerare.

Che rabbia provai quando vidi uno di noi presentarsi in giacca e cravatta, quanto mi sbagliavo, quanto poco avevo capito cosa stessi facendo, così maldestramente l’amavo! Quel giorno, in realtà, si stava salvando il nostro tesoro nascosto, da quel giorno sfuggimmo alle lusinghe che ci volevano in “costume”, inquadrati, staccati da un contesto nel quale noi eravamo parte del tutto e al  di fuori del quale nulla avevamo da offrire. Quando la povera gente che viveva  aggrappata a queste colline si mise a cantare e a suonare, non smise i panni di tutti i giorni: la tradizione è il messaggio, sono i volti di chi ti attende nell’aia o la persiana socchiusa nel cuore della notte. Che forza pulita, bella esprimono queste ballate e quella musica che attacca solo dopo che si è spento il coro, quanto poco questo canto rimanda a ricordi di cantori e musici; l’alternarsi, negli anni, di voci, di strumenti, lascia intatta l’incursione nei cuori di chi è nato sentendo, di notte, un vagare di note al far della primavera. Aneddoti, miti, i lazzi accattivanti dei “capomaggio” : storie minime che ritornano nelle ore della stanchezza più acuta a lenire la voglia di un letto o il freddo lasciato da un vento geloso. Che modo teatrale di scrollarsi di dosso l’uggioso ricordo di un inverno cattivo soltanto nei ricordi dei vecchi! E dunque se alcuno volesse violare il segreto e condividere una porzione di notte, si apposti all’arco della Rocca e se sentirà una vecchia voce che intona: “ma ecco maggio che ritorna/ col profumo de’ suoi fiori/ l’accipresso si nasconde/ perché un po’ cambia sua foglia/ ecco maggio che ritorna”, trattenga il fiato e confidi di avere abbastanza cuore per capire e per commuoversi.

Bibliografia:

Scheggi G. e Celestino O., Species, Edizione Forte, 1998

Autore scheda: Giorgio Scheggi

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