Abissi marini di Castelnuovo Berardenga
Luogo: Castelnuovo Berardenga
Comune: Castelnuovo Berardenga
Data/periodo: Pliocene inferiore (Zancleano: 5332–3600 milioni di anni fa)
Descrizione: Parlare di abissi marini a Castelnuovo Berardenga sembrerebbe un paradosso: infatti ci troviamo in un territorio conosciuto con il nome di “crete senesi”, dove le forme delle colline argillose creano un paesaggio dove lo sguardo si perde tra poggi, casolari sparsi e filari di cipressi. Ma ciò che ora vediamo è il risultato di eventi stratificatisi nel tempo. Ricostruire i paesaggi del passato non è compito facile, sono necessari anni di lavoro e di studi scientifici accurati. Ma, come spesso succede, le grandi scoperte avvengono per caso. Così è accaduto a Simone Casati, ricercatore del GAMPS (Gruppo Avis Mineralogia e Paleontologia di Scandicci). Scrive Casati nel suo libro Lo squalo serpente nella campagna toscana, scritto a quattro mani con il biologo astigiano Luca Oddone: Il primo lo vidi ai piedi del futuro Professore ordinario: era lì da milioni di anni. Mi avvicinai e, con estrema cautela, lo raccolsi e lo portai sul palmo della mano guardando attentamente una cosa che non avevo mai osservato. Anche lui, come me, non seppe dare un nome a quello strano oggetto trovato a pochi centimetri dalle sue scarpe. La base era di color nero e le appendici ricordavano un piccolo forcone a tre punte. Un forcone proprio come quelli usati dai contadini per trafiggere e raccogliere grosse quantità di erba fresca o fieno. La forma era uguale, ma molto più piccola. Il mio unico pensiero, in quel preciso istante, fu di conservare accuratamente il mistero affiorato dal profondo del mare in una zona dove il mare non c’era più da milioni di anni. Già, dove era finito il mare? Fra gusci di conchiglie fossili e frammenti del passato, quel giorno stavamo camminando su ciò che restava di un fondale marino situato nei pressi di Castelnuovo Berardenga, a pochi chilometri da Siena.
Nel Pliocene (5332–2588 milioni di anni fa), la Toscana era un promontorio roccioso che si affacciava su bacini marini, uno dei quali era quello di Siena. Nelle aree marginali di questo bacino, dove adesso affiorano rocce costituite da conglomerati e sabbie, c’erano una spiaggia e una linea di battigia. Ne sono un bellissimo esempio gli affioramenti che troviamo a Siena, in varie zone della città (Pescaia, Strada delle Grotte, San Domenico, Piazza San Giovanni per citare le più significative).
Spostandosi più a sud, nelle Crete, troviamo invece le argille tipiche di ambiente più profondo. E proprio qui, grazie a questo ritrovamento, è stato possibile ricostruire l’esatta posizione di un ecosistema epibatiale (200-1200 metri di profondità) dove vivevano squali come il Chlamydoselachus, i cui denti tricuspidati erano stati per la prima volta trovati ad Orciano Pisano da Robert Lawley (1818-1881), un naturalista vissuto in Toscana che li descrisse nel suo libro Nuovi studi sopra i pesci ed altri vertebrati fossili delle colline toscane (1876).
La cattura di un esemplare vivente nel 1884, ad opera di un pescatore in Giappone, riaccende l’interesse verso questi reperti fossili, che nel 1887 vengono classificati dallo studioso James W. Davis come denti di una nuova specie di squalo (questa importante scoperta fu segnalata, all’epoca, anche nella prestigiosa rivista “Nature”). Negli anni, le ricerche sono quindi andate avanti e i ritrovamenti di altri esemplari fossili sono stati numerosi.
L’habitat marino del Chlamydoselachus si trovava a breve distanza dalla costa. Questo squalo, che poteva raggiungere i 2,5 metri di lunghezza, popolava i mari preistorici nel Pliocene inferiore (Zancleano). Si trattava dell’antenato di uno squalo molto raro, tutt’oggi esistente, che vive nelle acque profonde e fresche di tutto il mondo, sulla piattaforma continentale a ridosso della scarpata oceanica. Il suo nome è Chlamydoselactus anguineus (dal greco Chlamydo “fronzoli” e selactus “squalo” e dal latino anguineus “serpentiforme”). Da Casati leggiamo: La presenza allora del suo antenato nelle acque del bacino di Siena dimostrava condizioni di acque gelide ed un collegamento sufficientemente profondo con l’Oceano Atlantico: una via preferenziale che dallo stretto di Gibilterra arrivava fino al cuore delle campagne senesi.
Bibliografia:
Cigala Fulgosi F., Casati S., Orlandini A., Persico D., A small fossil fish fauna, rich in Chlamydoselachus teeth, from the Late Pliocene of Tuscany (Siena, central Italy) in “Cainozoic Research”, 6 (1-2), March 2009, pp. 3-23
Casati S., Oddone L., Lo squalo serpente nella campagna toscana. Storia di uomini e ritrovamenti, GAMPS Gruppo Avis Mineralogia Paleontologia Scandicci, Progetto GAMPS Scandicci, La Tipoliti/Signa, 2011
Davis J. W., Note on a Fossil Species of Chlamydoselachus, in “Journal of Zoology”, Proceedings of the Zoological Society of London, vol. 55, issue 3, May 1887, pp. 542-544
Documenti:
Note: Centinaia di denti fossili di Chlamydoselachus anguineus, una specie di squalo dalla forma sinuosa più simile a un anguilla che a un pesce che oggi vive nelle profondità oceaniche, sono stati rinvenuti nella zona di Castelnuovo Berardenga (SI), nelle celebri “crete senesi”. La scoperta è stata fatta da Simone Casati e Marco Zanaga del Gruppo di Mineralogia e Paleontologia (GAMPS) di Scandicci (Firenze), che la definiscono eccezionale perché prova che milioni di anni fa al posto delle zone tipiche di produzione del Chianti e del Brunello ci fossero fondali marini profondi fin quasi due chilometri. I reperti, ritenuti rilevanti anche per numero e perché nessun museo al mondo ne possiede interi, sono stati raccolti in anni di ricerche e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale “Cainozoic Research”, a cura del professor Franco Cigala Fulgosi, docente al Dipartimento di Scienze della Terra di Parma, considerato fra i massimi esperti al mondo di squali fossili, e da Casati, Alex Orlandini e Davide Persico del gruppo fiorentino. Lo squalo ChlDociamydoselachus, spiegano gli esperti del GAMPS, è un vero e proprio fossile vivente che vive a centinaia di metri al di sotto della superficie marina. Se finora si pensava che nel Pliocene medio, circa tre milioni di anni fa, il bacino marino senese non fosse particolarmente profondo, la scoperta dei denti, di forma tricuspidale, prova che in realtà l’area alternava zone costiere o di mare basso con abissi e scarpate continentali. Il ritrovamento quindi, assicurano gli studiosi, modifica le ricostruzioni paleoambientali delle campagne senesi e consente una “fotografia” di un momento di transizione tra la grande apertura post-messiniana avvenuta nel Pliocene inferiore e la nascita del fondale mediterraneo attuale (Notizia ANSA).
Autore scheda: Serena Castignoni in collaborazione con Simone Casati