Oratorio di San Gaetano nel Nicchio
Luogo: Via dei Pispini – Siena
Contrada: Nobile Contrada del Nicchio
Denominazione: Oratorio di San Gaetano Thiene
Data/periodo: XVII-XVIII secolo, restauro conservativo anno 2002
Descrizione: L’oratorio di contrada è da sempre il luogo della vita religiosa e civile insieme, qui si riuniva il popolo contradaiolo prima della nascita delle odierne Società di contrada.
A partire dagli ultimi decenni del XVI secolo le adunanze del popolo del Nicchio e le loro cerimonie religiose si tenevano nella trecentesca chiesa di San Giovanni Battista, situata sulla strada che conduceva alla Porta di Busseto, adiacente a Porta Pispini. La chiesa faceva parte di un monastero agostiniano femminile situato nei pressi dell’altro monastero vallombrosano, dedicato ai Santi Giacomo e Filippo, e chiamato Abbadia Nuova. Nel 1656 la chiesa di San Giovanni e l’Abbadia Nuova passarono alle monache di Santa Chiara; quindi i Nicchiaioli decisero di trasferirsi all’interno del vicinissimo oratorio della Compagnia laicale di Santo Stefano, sorto su uno Spedaletto medievale e attuale sede della Società La Pania. Divergenze intercorse tra Contrada e Confraternita determinarono nei Nicchiaioli il proposito di erigere una propria chiesa.
Gli abitanti del rione così decisero di acquistare due edifici: uno di proprietà dei padri Carmelitani, avente sulla facciata un tabernacolo particolarmente venerato dal popolo, la Madonna del Forcone, e l’altro dalle monache domenicane di Vita Eterna. In questo luogo, comunemente chiamato del “Forcone”, iniziarono i lavori in maniera molto celere visto che “il giorno infra octava di Domenica doppo la festa di San Gaetano” del 1685, l’arcivescovo di Siena Monsignor Leonardo Marsili vi celebrò la Santissima Messa. In un primo momento, 01/08/1683, l’adunanza del popolo aveva deciso che il titolo dell’Oratorio venisse attribuito alla “devozione de Gloriosi Martiri S. Jacomo e S. Filippo Avvocati e Protettori di d.tta Contrada”, ma fu l’Arcivescovo in persona che rifiutò tale proposta giustificando il fatto che il nuovo edificio religioso era troppo vicino al monastero dei Santi Giacomo e Filippo. La decisione di intitolare l’oratorio venne presa a vantaggio di un santo moderno, di recente canonizzazione, il vicentino Gaetano Thiene che il titolare della Diocesi voleva propagandare a Siena tanto da intitolargli il primo altare di destra all’interno della Cattedrale senese nell’anno 1680.
Malgrado non ci siano notizie certe, è molto probabile asserire che l’architetto della facciata dell’oratorio sia da individuare nello stuccatore-architetto senese Giacomo Franchini. Discendente da una famiglia di architetti, affronta con nuovo linguaggio l’eredità peruzziana tramandata per tutto il secolo XVII da Benedetto Giovannelli (vedi l’oratorio di San Giuseppe, la Chiesa di San Raimondo al Rifugio) ma impreziosita di elementi tardo-barocchi mediati dalla conoscenza dell’architetto Carlo Fontana. In effetti l’oratorio di San Gaetano rientra nella tradizione peruzziana: i suoi caratteri strutturali costituiti da un’unica aula longitudinale bipartita, con volta a botte e prospetto a due ordini spartito in tre assi da lesene, ricordano molto da vicino quelli della chiesa di San Giovanni in Pantaneto, opera attribuita al duo Peruzzi-Pelori. Infatti, se esaminiamo esternamente San Gaetano, ci accorgiamo che i caratteri barocchi sono solo nella decorazione e non nello schema: nella facciata, di barocco vi è solamente una grande valva di conchiglia a stucco, sopra la porta, simbolo della contrada ma anche uno dei motivi più usati nelle decorazioni settecentesche. Qui, sin dall’inizio venne collocato un tondo con raffigurante la Madonna con il Bambino. Inoltre, la finestra al piano superiore, rifinita da una cornice uguale a quella del portale, presenta un coronamento composto da due rampanti curvilinei in cotto e, al centro, un cherubino dal quale partono tre festoni fioriti: decorazione molto simile a quella della finestra posta nella facciata di San Giuseppe, opera di Benedetto Giovannelli. Ma le similitudini non si fermano qui. Infatti, oltre a quella di San Gaetano altre chiese erette alla fine del Seicento, come quella dei Santi Pietro e Paolo nella Chiocciola, dei Santi Giacomo e Cristoforo nella Torre, di Sant’Antonio nella Tartuca continuano a presentare modelli cinquecenteschi tanto da ipotizzare fortemente un intervento in tutte ad opera di Niccolò e Giacomo Franchini. L’oratorio di San Gaetano evidenzia un ricco apparato decorativo a stucchi che contrasta con la linearità delle superfici esterne, caratteristiche queste che sono proprie della bottega dei Franchini soprattutto di Giacomo. Dall’analisi delle sue architetture e dei suoi disegni ci accorgiamo che Giacomo è un architetto strettamente legato alla tradizione senese di discendenza tardo manierista malgrado nella plastica sia molto vicino all’influenza borrominesca, soprattutto nell’utilizzo del materiale.
Tra il 1686 ed il 1705 Giacomo Franchini attese alla decorazione plastica in stucco modellato di tutti gli ornamenti come attesta il pagamento effettuato il 1 gennaio 1705 di angeli reggi cornice. Tale motivo berniniano risulterà esser caro agli scultori barocchi tanto da essere un elemento costante nella decorazione di altari per chiese, oratori e cappelle.
All’interno gli ornati, aventi per soggetti nicchie sormontate da coppie di cherubini festanti che sorreggono delle ghirlande di fiori, sono collocate sei statue di santi e beati senesi in stucco. Nella prima nicchia sul lato sinistro si incontra il Beato Ambrogio Sansedoni, rappresentato in abito domenicano mentre reca tra le mani il modellino della città di Siena che ricorda l’opera di ambasciatore svolta da questi presso due pontefici. Il Beato, dal volto giovanile, volge lo sguardo verso il basso in direzione dell’osservatore, ma con fare distratto che annulla la mediazione fra la sfera dell’immagine e quella dell’osservatore. Il motivo del contatto ottico virtuale con il riguardante viene raggiunto nella seconda statua del San Gaetano Thiene posta nella seconda nicchia della medesima parete. Lo sguardo indirizzato verso l’interlocutore dal santo sacerdote titolare dell’oratorio, unito all’atteggiamento corporeo con le braccia aperte in un amorevole gesto, acquista qui maggiore efficacia. Sul lato destro, le figure di San Vincenzo Ferrer con la fiamma sopra la testa e del Beato Giovanni Colombini con un crocifisso nella mano sinistra si mostrano nella struttura compositiva ed anche nell’atteggiamento psicologico in corrispondenza tra di loro. In entrambe le statue il motivo del contrapposto è svolto in modo che l’una risulta la ripetizione dell’altra, con l’eccezione dell’inclinazione delle teste. Ai lati dell’altare maggiore sono le figure dei Santi Bernardino e Caterina, religiosamente più importanti, che in epoca barocca e rococò ricorrono spesso nelle decorazioni interne di cappelle, oratori e piccole chiese. Il San Bernardino rappresentato in età avanzata, magro e emaciato, calpesta con un piede le tre mitre, simbolo del rifiuto che egli oppose all’offerta dei tre vescovadi di Siena, Ferrara e Urbino. La sua figura, in contrapposto segue una curva culminante verso l’alto della testa, presentata scorciata con lo sguardo rivolto verso il cielo. Il Santo, reso in un momento di dialogo celeste, segnala nell’atteggiamento un riferimento ai Santi Pietro ed Andrea, due dei dodici apostoli realizzati da Giuseppe Mazzuoli tra il 1679 ed il 1689 per le colonne della navata centrale di duomo.
Santa Caterina, nella floridezza corporea e nel languido patetismo, si presenta in abiti monacali che regge nella mano di sinistra il giglio, simbolo della purezza, ed è concepita come un pendant di San Bernardino: il contrapposto, la posizione del braccio, il volgersi della testa trovano la loro corrispondenza speculare nell’altra statua.
In una Delibera del 1 giugno 1704 i contradaioli del nicchio stabilirono di “far dipingere la volta della cappella con i suoi angoli et arcata”; in una successiva riunione, del 15 giugno 1704 di “cominciar a far tal opera che così eran rimasti con il Sig. Giuseppe Nasini…”; è quindi ipotizzabile che il Nasini cominciasse a decorare la chiesa a partire dal 1704 con la realizzazione degli affreschi dei pennacchi, con le quattro Virtù Teologali, aiutato dal suo allievo Stefano di Francesco Marzi. L’intervento pittorico nell’oratorio conobbe un’interruzione immediata a causa della precoce scomparsa del Marzi che morì cadendo dal ponteggio mentre si trovava a lavorare nell’oratorio della Visitazione. Risulta difficile stabilire l’intervento del Marzi, anche se è evidente una certa debolezza nell’impianto delle figure delle Virtù, irrigidite nell’impostazione un po’ goffa con cui è trattato il loro inserimento nello spazio triangolare: tali incertezze non si evidenziano nel resto degli affreschi che decorano l’interno dell’oratorio, la cui esecuzione fu in larga parte condotta da Apollonio Nasini su disegno del padre Giuseppe Nicola. Dopo il 1704 il pittore dovette abbandonare il cantiere per riprenderlo solo dopo il 1723, anno del suo rientro dopo vari viaggi, fra i quali un importante soggiorno romano; la volta fu scoperta in pompa magna il 27 agosto del 1734.
In questo periodo (1724-1734), pur essendo in età avanzata, Giuseppe Nicola ha ancora un ruolo di protagonista a Siena come testimoniano le numerose commissione ricevute, ma conosce una fase di indebolimento artistico caratterizzata da una diminuita capacità inventiva e da una certa stanchezza formale che lo inducono a riproporre formule già sfruttate in precedenza. Il declino qualitativo, dovuto anche al cospicuo intervento della bottega nell’esecuzione materiale della decorazione, risulta in modo particolare nel dipinto della volta del presbiterio con San Gaetano in gloria, dove tuttavia l’ariosità della scena e la scelta di tinte chiare riescono ad alleggerire l’artificiosità della composizione, e l’intonazione sentimentale di derivazione cortonesca contribuisce a rivitalizzare le figure.
Maggiore felicità inventiva presentano le storie di San Gaetano sulle pareti laterali (San Gaetano che porta i Sacramenti agli appestati e San Gaetano che dona le elemosina ai bisognosi), per la freschezza narrativa, l’ariosa orchestrazione spaziale barocca di matrice romana e i personaggi dotati di quella grazia e fluidità espressiva che caratterizzano la migliore produzione di Giuseppe Nicola: l’artista si rivela qui ancora capace di ideare soluzioni compositive di grande effetto, fedele alla tradizione cortonesca nel dispiegare figure in primo piano, delineate per piani ampi e profondi con un linguaggio facile e immediato, sullo sfondo di un’apertura paesaggistica che dona respiro all’insieme; non solo Pietro da Cortona ma la sua attenzione è riposta ancor di più che in precedenza alla conoscenza approfondita in prima persona di Michelangelo e Raffaello del loro periodo romano. La mano di Apollonio sembra maggiormente ravvisabile nel dipinto ormai mutilo (San Gaetano che cura i malati nell’ospedale) della parete d’ingresso di cui restano parti di alcune figure, e nei due episodi di“San Gaetano che ha l’apparizione di Cristo e di San Gaetano che libera un’ossessa. Qui, il fare più disegnato, meno sciolto e fluido, l’impostazione rigida delle figure, dalle pose raggelate e dal modellato appiattito, inducono a ritenerle opera del figlio, benché i larghi piani facciali dei personaggi e lo schema compositivo pur semplificato, ma ispirato a modelli cortoneschi, attestino l’ideazione del capo bottega.
Anche gli angeli della lunetta della parete di fondo e le figure della Fede e della Religione della controfacciata presentano la sigla del pittore amiatino, che probabilmente anche in questo caso fornì i disegni lasciandone l’esecuzione ad Apollonio: vengono riproposti i tratti fisionomici caratteristici dei personaggi di Giuseppe, dai lineamenti gentili e dalle pose aggraziate derivate dai modelli di Ciro Ferri, presso il quale il Nasini aveva condotto il suo apprendistato a Roma. La mano di Apollonio e ravvisabile nel dipinto della volta della navata, con San Gaetano che presenta la regola della congregazione dei Teatini a Clemente VII. Per quest’opera esiste anche il bozzetto che è conservato nei locali del Museo di Contrada, indubbiamente di mano di Giuseppe Nicola, in cui appare in un’efficace sintesi la monumentale impaginazione di ricordo cortonesco che sarà poi dispiegata nell’affresco e dove i modi pittorici del capo bottega, individuabili nel modellato morbido e sciolto delle figure, nelle pennellate veloci e suggestive che definiscono i panneggi, negli atteggiamenti aggraziati dei personaggi, la cui collocazione si inquadra in una studiata composizione spaziale, costituiscono un episodio tardo ma di grande effetto della lunga ed operosa attività dell’artista.
Anche l’affresco raggiunge dei risultati qualitativamente alti, nonostante la realizzazione sia in gran parte imputabile al meno dotato Apollonio. Il dipinto murale della volta dell’Oratorio non mancò di destare interesse nell’ambiente artistico cittadino. Una prima ripresa dell’operato del Nasini l’abbiamo in torno agli anni della realizzazione della pittura murale ad opera di Bartolomeo Mazzuoli, che esegue uno studio preparatorio di Monaci dinanzi ad un Papa in cattedra in un taccuino da disegni (Biblioteca Comunale di Siena), studio che ispirerà una composizione in terracotta, conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Siena, realizzato nel 1771 dal nipote, Giuseppe Maria Mazzuoli il Giovane.
Nel corso dell’Ottocento l’altare maggiore venne modificato inserendo fra le colonne un dipinto su tela di Luigi Boschi dal titolo San Gaetano perseguitato durante il sacco di Roma del 1527 (1825) che andava a coprire lo straordinario Trono ligneo delle Quarant’ore di cui parleremo più avanti.
Nel 1824 venne deciso di ammodernare l’Oratorio con alcune evidenti modifiche che andavano ad interessare proprio l’altare maggiore ed il pavimento sostituendo le mattonelle in cotto con i quadroni di marmo in stile impero. Il Boschi era il pittore adatto secondo i giudizi dei Nicchiaioli in quanto nella tela, oltre che a spunti neoclassici filtrava un nuovo linguaggio volto al racconto storico. Con la sua evidente ricerca di personaggi ritratti nella loro storicità ideale, e a Siena, tradizionale, in vesti che vorrebbero esser quelle del Cinquecento, il Boschi sembra anticipare la ricerca storicistica che sarà propria della pittura italiana del decennio successivo. La spinta alla rappresentazione di scene dei secoli XVI e XVII proverrà alla pittura dalla letteratura, e si nutrirà all’inizio delle suggestioni provenienti dagli allestimenti teatrali. La persecuzione di San Gaetano durante il Sacco di Roma è raffigurata con la mentalità e l’artificio di uno scenografo, che il Boschi abbandona il barocchismo manierato da movenze neoclassiche dei suoi precedenti dipinti per dar vita a un tipo di composizione storica che diverrà paradigmatica nella Siena degli anni successivi. Ben presto sarebbero stati in Toscana i migliori rievocatori di storie dei secoli d’oro italiani, ed avrebbero lasciato numerose e prestigiose prove, oltre che a Siena nel capoluogo granducale, Firenze. Oltre alla tela, prima del 2002 e dal 1885, c’era un paliotto in legno dorato eseguito da Vincenzo Martinelli, intagliatore, e Angiolo Franci, doratore. Il paliotto rappresenta un bassorilievo con San Gaetano che riceve la conferma della Regola; nelle altre due formelle sono rappresentate la Fede e la Carità.
Attualmente l’insieme dell’altare, e tutta la chiesa, viene riproposto come era origine ovvero con la presenza del ligneo Trono delle Quarant’ore per l’esposizione del Santissimo Sacramento; opera mirabile nel suo insieme dove gli angeli reggi trono, eseguiti in terracotta dorata, rimandano, tanto che alcuni studiosi hanno ipotizzato nell’esecuzione esser dei bozzetti preparatori, agli angeli reggi ciborio dell’altare maggiore di San Martino, opera di Giuseppe Mazzuoli e dei sui fratelli, membri della bottega operante a Siena. Nell’altare di sinistra è posizionata la tela, Maria Santissima Auxilium Christianorum, del pittore e sacerdote Tommaso Bonechi, eseguita intorno al 1761. È un dipinto di grande venerazione arricchita da bracciali, corone, collane ed ex voto ed è l’immagine sacra che la contrada porta in processione in Cattedrale per l’esposizione nelle domeniche in Albis.
L’organo costruito dal pistoiese Josuè Agati nel 1834 venne collocato nella controfacciata su di una cantoria circoscritta da una balaustra. L’insieme, dalla sobria struttura architettonica, presenta in alto una coppia di vasi con sbaccellature e ampie anse dai quali escono fiamme e, davanti alle canne, due intagli lignei traforati con motivi vegetali e strumenti musicali. La tenda di chiusura del prospetto è in tela dipinta, raffigurante una grande conchiglia tra motivi ornamentali. È uno strumento che si avvale della doppia funzionalità tra la musica barocca e la nuova musica romantica.
Bibliografia:
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Ciampolini M. (a cura di), Il museo e l’oratorio della Nobile Contrada del Nicchio, Siena, Alsaba 1997, pp. 9-17, 29-31, 35-49, 184-189
Falassi A. e Catoni G., La Nobile Contrada del Nicchio, Siena, Franco Maria Ricci Editore, 1991.
Giorgi R., Santi, Verona, Electa, 2007, p. 146
Lorenzoni M., Le pitture del Duomo di Siena, Siena, Silvana Editoriale, 2008, p.14
Magrini D. (a cura di), Trecento anni dopo. Il restauro dell’Oratorio di San Gaetano, Siena, Nobile Contrada del Nicchio, 2003, pp. 11-87
Ricci A., Pispini. Storia di un rione, Siena, Cantagalli, 1979, pp. 49-60
Fonti:
Scheda ICCD di riferimento: ASBAP Si e Gr: scheda di catalogo n. 00403149 (compilata da F.S. Blasio, 1995)
Note: In occasione del Palio del 2 Luglio e di quello del 16 Agosto all’interno dell’Oratorio avviene la benedizione del cavallo toccato in sorte alla contrada.
Autore scheda: Nobile Contrada del Nicchio, Fanti Agnese e Fiorenzani Paolo
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