Il campanile nel Chianti
Luogo: Chianti
Comune: Radda in Chianti, Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Castelnuovo Berardenga
Descrizione: Il dipinto di Jean François Millet L’Angelus, del 1859, ci mostra due contadini che, prima di iniziare a lavorare, si raccolgono in preghiera, mentre in lontananza si scorge un campanile. L’Angelus è infatti l’ora del mattino in cui i rintocchi delle campane annunciano l’inizio del nuovo giorno.
Il campanile, nella vita quotidiana del mondo rurale, ha sempre svolto una funzione fondamentale nel fornire coordinate per orientarsi: i rintocchi delle campane segnalavano l’inizio e la fine del lavoro, mentre la torre campanaria collocata al centro del paese indicava a ognuno il luogo esatto verso il quale fare ritorno.
Il campanile è segno di appartenenza sociale, identitaria, evidenzia i limiti dello spazio vissuto. Al campanile, Pascoli chiede, in una delle sue ultime poesie, di far ritorno per riposare:
Ch’io ritorni al campanile
del mio bel San Niccolò
dove l’anima gentile
finalmente adagerò.
Il campanile favorisce quella condizione che l’etnologo campano Ernesto de Martino ha chiamato “appaesamento”, ossia il sentimento del sentirsi a casa, nella protezione di un mondo familiare e conosciuto, domestico e addomesticato.
Nella visione demartiniana, la vicinanza al campanile crea dunque sicurezza, mentre la distanza da esso è causa di angoscia, sensazione di smarrimento di sé. Così infatti de Martino racconta l’esperienza di un contadino calabrese: la sua diffidenza si andò via via tramutando in angoscia, perché ora, dal finestrino da cui sempre guardava, aveva perso la vista del campanile di Marcellinara, punto di riferimento del suo spazio domestico. Per quel campanile scomparso, il povero vecchio si sentiva completamente spaesato: e solo a fatica potemmo condurlo fino al bivio giusto e ottenere quel che ci occorreva sapere. Lo riportammo poi indietro in fretta, secondo l’accordo: e sempre stava con la testa fuori dal finestrino, scrutando l’orizzonte per vedere riapparire il suo campanile. Finché quando finalmente lo vide, il suo volto si distese e il suo vecchio cuore si andò pacificando, come per la riconquista di una patria perduta (de Martino 1977: 480-481).
Nel campanile, inoltre, troviamo anche la radice della parola “campanilismo”, oggi usata perlopiù per segnalare l’attaccamento miope e ottuso ai propri sistemi di valori e alle proprie tradizioni. Ma campanilismo è anche l’insieme di quei codici simbolici che permettono di organizzare le comunità, posizionandole secondo sistemi di opposizione e di confronto. Campanilismo, termine quasi intraducibile in altre lingue (i francesi usano il termine esprit de clocher, che letteralmente significa “lo spirito del campanile”) sta a indicare anche il ripiegamento su se stessi.
Il Chianti, con i suoi innumerevoli campanili nei centri dei piccoli borghi e nelle piazze dei paesi, luoghi familiari per eccellenza, si presenta come mondo appaesato, dove è possibile ancora orientarsi e sentirsi parte di un percorso quotidiano.
Bibliografia:
De Martino E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino, Einaudi, 1977
Di Lieto C., Il romanzo familiare del Pascoli. Delitto, “passione” e delirio, Napoli, Alfa Guida Editore, 2008
Palumbo B., L’Unesco e il campanile. Antropologia, politica e beni culturali in Sicilia Orientale, Roma, Meltemi, 2003
Autore scheda: Pietro Meloni
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