Il marmo nero di Vallerano – Murlo
Luogo: Vallerano
Comune: Murlo
Data/periodo: 1100
Data/periodo: Il marmo nero di Vallerano è stato utilizzato per la prima volta per la costruzione della chiesa dell’Eremo di Montespecchio, datata al 1182. Attualmente il suo utilizzo è limitato ai restauri nel duomo senese
Descrizione: Nei sottotetti del duomo di Siena, resi recentemente visitabili, è stata ricostruita la “stanza degli scalpellini”, con gli strumenti e le attrezzature che questi maestri della pietra utilizzavano per lavorare i materiali lapidei grezzi che arrivavano dalle cave del contado senese. Qui si trova anche un campionario dei venticinque materiali lapidei utilizzati: fra questi vi è anche un campione del marmo nero di Vallerano, la bella roccia verde scuro tendente al nero utilizzata per la decorazione dicromica delle pareti esterne del duomo. Il marmo nero di Vallerano non è in realtà un marmo in senso stretto, ma è una serpentinite, cioè una roccia metamorfica che formava il fondale oceanico della Tetide circa duecento milioni di anni fa, insieme a gabbri e basalti, rocce conosciute nel loro insieme come ofioliti, che caratterizzano una buona parte del territorio comunale di Murlo.
L’ipotesi della provenienza da Murlo del materiale utilizzato per il duomo di Siena ha origine proprio da questa specificità geologica e anche dai documenti storici di varie epoche in cui viene citato questo “marmo”. I documenti dell’Opera del Duomo, anche se non numerosi ed esaustivi in quanto alla specifica area di provenienza, si riferiscono infatti a pagamenti di trasporto di pietre da Montepescini (in particolare un documento del 1264) e citano una petraia nera vicina al Ponte di Foiano, l’odierno Ponte a Macereto (1320). Incrociando questi dati con la carta geologica del territorio di Murlo, si può ipotizzare che l’area di escavazione del marmo fosse nei poggi di Vallerano e in particolare a Poggio La Croce, tra Montepescini e Ponte a Macereto, dove la serpentinite si presenta relativamente più compatta e uniforme che in altri affioramenti vicini, e quindi più adatta ad essere usata come materiale da costruzione. Da questa zona, dove probabilmente esistevano più cave o comunque punti di approvvigionamento, il trasporto avveniva senz’altro con muli, come attestano sempre i documenti dell’Opera del Duomo, la quale pagava una certa cifra per ogni soma trasportata.
In particolare il documento del 1264 dice che le pietre venivano trasportate con i muli alla Villa del Piano, toponimo non più esistente ma che, facendo una serie di considerazioni sulla viabilità e la morfologia del territorio, potrebbe corrispondere a Villa Tolomei (oggi Palazzaccio), situato poco a nord di Ponte a Macereto, in un probabile punto di “intermodalità” dove i blocchi di marmo trasportati con gli animali potevano essere caricati su carri e trasportati con maggiore efficienza sul tracciato di fondovalle che già allora congiungeva Siena con Grosseto. L’intensa attività di commercio e trasporto di marmo nero dal territorio di Murlo al cantiere della cattedrale senese si concentrò nei secoli XIII e XIV, periodo che vide la massima prosperità del vicino eremo di Montespecchio, e coincidenza che ha fatto ipotizzare a molti storici che l’eremo possedesse o comunque avesse un ruolo nella gestione delle cave di marmo nero, analogamente all’eremo di Santa Lucia a Rosia, che commerciava il marmo bianco.
Dopo il XIV secolo, cessata l’attività del cantiere del duomo, anche il trasporto del marmo nero cessa e questo materiale va probabilmente incontro a minori e più locali utilizzi. Nei primi anni dell’Ottocento, documenti del governo francese citano la cava di marmo nero come non più attiva, ma questo materiale viene comunque ricordato nei testi specializzati; ad esempio il Rondelet, nel suo Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare del 1839, lo riporta come quarto nell’elenco dei quattordici marmi neri italiani. Nello stesso periodo il Repetti, nel Dizionario geografico fisico storico della Toscana ricorda Vallerano come un “piccolo castelletto” che “risiede sopra un poggio coperto di masse ofiolitiche, dalle quali si estrae il marmo nero, o serpentina di Vallerano…”, e alla voce “Cave di marmi” cita il “serpentino o marmo nero di Siena”, localizzandolo nel “poggio di Vallerano”. Infine, nelle carte del catasto ottocentesco è segnato un “Fosso della Cava” (oggi Fosso dei Fangacci) proprio ai piedi di Poggio alla Croce, mentre non è riportata la presenza della cava stessa: segno che l’attività di cava, fiorente in passato tanto da lasciare traccia nei toponimi, era stata ormai abbandonata.
Negli anni Trenta del Novecento la zona di Poggio alla Croce è stata oggetto di attività estrattiva finalizzata alla produzione di lastre e successivamente graniglia, fino agli anni Ottanta. La parete di cava visibile attualmente è riferibile a questa fase moderna.
Bibliografia:
Anselmi B., Il marmo nero di Vallerano, “Murlo Cultura”, 2013, n. 5, pp. 7-8
Giorgi A., Moscadelli S., Costruire una cattedrale. L’Opera di Santa Maria di Siena tra XII e XIV secolo, München, Deutscher Kunstverlag, 2005
Repetti E., Dizionario geografico, fisico storico della Toscana, Firenze, 1833, vol. I, p. 627 – vol. 5, p. 672
Archivio di Stato di Siena, Diplomatico Opera Metropolitana [21 dicembre 1264]
Archivio di Stato di Siena, Diplomatico Opera Metropolitana 233 [28 marzo 1271]
Archivio di Stato di Siena, Archivi del Governo Francese, Statistiche 235 Fasc. 5 Rapporti e altri documenti sulle miniere del dipartimento
Links:
CASTORE-Catasti Storici Regionali Articolo “Il marmo nero di Vallerano” nella rivista Murlo Cultura
Autore scheda: Barbara Anselmi (Associazione Culturale di Murlo)