Collegiata di Santa Maria Assunta a Casole d’Elsa

Luogo: Casole d’Elsa

Comune: Casole d’Elsa

Descrizione: Un’epigrafe presente nel transetto destro data al 1161 la consacrazione della pieve, che viene citata per la prima volta in un atto del vescovo Guido (1039-1046), relativo ai beni del monastero dei Santi Giusto e Clemente di Volterra.

Il prospetto, seppur rimaneggiato, mostra in tutta evidenza i segni delle vicende costruttive che hanno modificato l’edificio romanico, limitato al primo ordine e al contiguo campanile in fase con la facciata. L’interno presentava la classica pianta a croce latina con tre absidi e altrettante navate, come documentano i basamenti dei colonnati individuati in occasione dello smontaggio del pavimento in seguito ai restauri post bellici.

Oggi la chiesa presenta i caratteri dell’architettura mendicante del XIV secolo, con un’unica navata e un transetto nel quale si aprono cinque cappelle gotiche. Il consistente patrimonio artistico della chiesa, elevata a Collegiata col titolo di Santa Maria Assunta, è un prezioso compendio delle maggiori vicende culturali e politiche che interessarono questo strategico castello della Valdelsa, documentato come feudo dei vescovi di Volterra dai primi decenni del Mille, ma ben presto asservito all’egemonia del governo senese dei Nove (1260).

Nel caso di Casole possiamo parlare di un vero e proprio primato degli artisti senesi, che lavorarono per la chiesa, gli enti e il patriziato locale dal XIV secolo fino al pieno Ottocento. Senza alcun dubbio, la stagione più feconda fu quella degli inizi del Trecento, quando nei cantieri aperti in Collegiata, tra gli artisti che rappresentavano la più aggiornata cultura senese del momento operò anche Marco Romano. Questa felice congiuntura ebbe modo di concretizzarsi per merito di due importanti lignaggi del posto: gli Andrei e gli Albetini, che vollero attraverso le commissioni, lasciare nella pieve un segno evidente del potere, del prestigio e del ruolo acquisito in vita da alcuni membri delle due famiglie.

In questa direzione va certamente la scelta di Giacomo e Sozzo d’Andrea, che per dare degna sepoltura alle spoglie del fratello Tommaso Vescovo di Pistoia, morto nel 1303, commissionarono all’affermato Gano di Fazio la realizzazione nella navata destra di un monumentale sepolcro pensile, derivato dai modelli di poco più antichi introdotti da Arnolfo di Cambio. Per l’indispensabile finitura pittorica degli elementi architettonici e figurativi del monumento, finalizzata a conferire un aspetto naturalistico ai rilievi in marmo, lo scultore, come si evince dai pochi lacerti di affresco che ancora si conservano, si era avvalso della collaborazione del raffinato Maestro di Badia a Isola, tra i più antichi e fedeli collaboratori di Duccio di Buoninsegna.

Sempre in quel primo gruppo di artisti formati nella bottega del grande caposcuola senese cadde la scelta della famiglia Albertini per l’esecuzione degli affreschi raffiguranti la Maestà e il Giudizio Universale nella cappella sepolcrale dedicata a San Niccolò, che gli Albertini eressero dopo circa un decennio dalla realizzazione del monumento Andrei. L’ingresso alla cappella, destinata a contenere le spoglie dei fratelli Bernardino e Ranieri (ritratti nell’affresco e identificati dai cartigli), si apriva sulla navata sinistra. Di seguito era in origine collocato il cenotafio di Bernardino degli Albertini, detto “Il Porrina”: una svettante edicola gotica con l’imponente figura stante del miles e giurista ritratto con la spada e un codice di diritto tra le mani. Per la realizzazione di questo capolavoro di naturalismo gotico, gli Albertini chiamarono a Casole il girovago scultore Marco Romano. L’autore degli affreschi della cappella Albertini dovette guadagnarsi un discreto consenso, se nel terzo decennio del Trecento gli furono commissionati gli affreschi dell’arco trionfale con il Giudizio universale, di cui oggi restano le enormi figure frammentarie del Cristo giudice, degli Angeli e di due Apostoli.

Tra il terzo e il quarto decennio del Quattrocento, la prima cappella del transetto sinistro dedicata a San Martino fu dotata di un ciclo di affreschi e di un trittico cuspidato raffigurante la Madonna col Bambino San Giuliano e San Donato (?), oggi nel Museo Civico Archeologico e della Collegiata. Della decorazione parietale, assai deperita, resta ben poco: i quattro Evangelisti Luca, Giovanni, Marco e Matteo nelle vele della volta e le figure frammentarie dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata, in alto sulla parete di fondo della cappella. Nonostante il cattivo stato di conservazione, si riescono ancora a leggere gli elementi di stile caratterizzanti di un pittore tardogotico attivo ancora nel quarto decennio del Quattrocento, in stretto rapporto con le figurazioni del trittico riferibili alla stessa mano identificata col pittore senese Pietro di Ruffolo.

Sempre a un ambito culturale tardogotico, per la posizione del defunto, per il panneggio e per la presenza di una nicchia ad arco trilobo, è riferibile la Lastra tombale del proposto Francesco di Lorenzo, morto nel 1420, posta al centro del presbiterio e fatta realizzare dall’erede Giacomo di Ghieri, come ci informa l’iscrizione in lettere gotiche che corre sul bordo.

Circa un secolo più tardi si data la rilucente terracotta invetriata della parete destra, riferibile a Giovanni Della Robbia, nipote del più famoso Luca, unico esempio in Collegiata di un’opera proveniente da Firenze. Sempre a un pittore senese, anche se aggiornato sul classicismo dei fiorentini Fra’ Bartolomeo e Mariotto Albertinelli, è riferibile la pala d’altare raffigurante la Visitazione di Girolamo del Pacchia (1520 ca.).

A un colorista d’eccezione come Alessandro Casolani, tra i maggiori pittori attivi a Siena alla fine del Cinquecento, appartiene invece l’imponente Pietà (collocata sull’altare del transetto destro ma proveniente dalla Compagnia della Madonna di San Niccolò), della fine degli anni Ottanta, che documenta uno dei momenti più felici del pittore. Alla bottega del Casolani sono riferibili le figurazioni dipinte sui gradini dell’altare maggiore e del ciborio, realizzati alla fine del Cinquecento insieme agli angeli reggicandelabro a imitazione del fortunato prototipo composto da Baldassarre Peruzzi nel 1532 per il Duomo di Siena.

Sempre dal vicino capoluogo provengono le opere seicentesche come la guercinesca tela raffigurante Sant’Agostino che lava i piedi a Cristo vestito da pellegrino di Rutilio Manetti, e quella del poco noto Stefano Volpi, raffigurante La chiamata di San Matteo, collocata sulla parete sinistra. A Giovan Paolo Pisani, ancora attardato sugli esempi della produzione cinquecentesca, si deve invece la Morte di Sant’Antonio Abate, collocata sulla parete destra. Nel transetto sinistro è posta una tavola di primo Seicento con alcuni Santi e, nella parte centrale, una veduta di Scorgiano con la cappella, edificio quest’ultimo da cui proviene il dipinto.

Al 1856 risalgono infine le ultime opere commissionate per la Collegiata: si tratta di due tele raffiguranti la Madonna col Bambino e Santi e l’Immacolata Concezione, rispettivamente dei puristi Antonio Ridolfi e Amos Cassioli, allevi del noto Luigi Mussini.

Inoltre, dal transetto sinistro si accede alla cappella della Compagnia di Santa Croce, nella quale si conservano un Crocifisso della prima metà del Quattrocento, la Vergine Annunciata e l’Angelo annunciante di Rutilio Manetti.

Bibliografia:

AA.VV., Chiese medievali della Valdelsa, I territori della Via Francigena tra Siena e San Gimignano, Empoli, Edizioni dell’Acero, 1996

Cianferoni G.C. e Bagnoli A., Museo archeologico e della collegiata di Casole d’Elsa, Firenze, Spes, 1996

Autore scheda: Patrizia La Porta

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento