La custode del mulino

Luogo: Monti in Chianti

Comune: Gaiole in Chianti

Data/periodo: Bruna è arrivata in Italia nei primi anni Ottanta. Poco dopo si è trasferita nel Chianti: prima a Radda, poi a Panzano, infine nel comune di Gaiole

Descrizione: Conosco Bruna da tempo e ho scelto di raccogliere la sua storia perché è indicativa di una tipologia vasta di “nuovi abitanti” del Chianti: mossa da curiosità è arrivata in Italia con un capitale che ha permesso a lei e al suo compagno di acquistare un’azienda agricola nel tentativo di costruirsi una vita “rispettosa della natura e del territorio”. Questo è il racconto che mi ha affidato, sotto il noce del mulino dove vive:

Sono nata e cresciuta in Svizzera, ma mia madre era italiana (friulana). Ho avuto un figlio, Boris, da giovane: ero sposata, vivevo in Svizzera, a Zug, un paese accanto al bosco. Non sono una cittadina. Poi io e il padre di mio figlio abbiamo divorziato e sono venuta in Italia con Boris, che all’epoca aveva sette anni. Parlavo italiano, non come adesso, ma lo parlavo già bene. Sono andata a Stromboli e in Sicilia per un anno, alla fine del 1981. Mi piaceva l’idea dell’Italia, della vita comunitaria, delle famiglie grandi e poi avevo voglia di conoscere il Paese di mia madre… Dopo un inverno passato a Stromboli ci ha raggiunti in Sicilia Gaspare, che sarà poi il mio compagno e con cui avrò altri tre figli. Con Gaspare avevamo deciso di comprare un’azienda agricola in Sicilia, nell’entroterra però… non nella costa, che è troppo turistica… Ma in Sicilia il problema era che non mi rispettavano, cioè non mi rispettavano “come donna”. È stata un’esperienza bruttissima. Per due volte hanno anche cercato di violentarmi, una volta hanno offerto a Gaspare dei soldi per andare a letto con me… Questo nonostante avessi un compagno e un figlio.

Poi nel 1984 sono andata a vivere a Pescia, dove stavano dei nostri amici. Lì è nato il mio secondo figlio, Django. Io però volevo gli animali, le mucche e i cavalli e a Pescia non si possono tenere perché lì sono tutti terrazzamenti. Non c’era il pascolo.

Siamo arrivati a Radda ospiti di una coppia di amici tedeschi che vivevano lì. Loro ci hanno fatto vedere una casa, proponendoci di comprarla: era una casa bellissima ma purtroppo aveva poco terreno. Poi ci hanno mostrato la casa che poi abbiamo comprato che era, ai tempi, un allevamento di maiali. Non ci viveva nessuno. Era in stato di abbandono. Noi abbiamo comprato la casa, il terreno e del bosco. Avevamo cavalli e mucche e coltivavamo e lì sono nati gli altri tre figli.

Con la gente di Radda i rapporti sono sempre stati buoni. Noi eravamo idealisti, volevamo lavorare la terra con i cavalli e “fare da noi”. Facevamo cose alternative. Ci siamo trovati sempre bene con la gente e siamo sempre stati difesi anche quando i carabinieri fecero un blitz a casa nostra: pensavano fossimo dei “soliti freakkettoni”, che avessimo droga in casa. Sono arrivati i militari, gli elicotteri, hanno perquisito tutto. E’ stata un’esperienza…!

Con le persone ci siamo trovati benissimo, anche i bambini a scuola non hanno avuto nessun problema di integrazione… nonostante le persone fossero molto diverse da noi non ci hanno mai creato problemi, anzi, ci aiutavano. Anche il sindaco ci aiutava, gli piacevamo nonostante la nostra diversità. Pensa che io facevo il pane, però non è che potevi vendere il pane senza certificazioni… allora la gente me lo ordinava e veniva a prenderlo da noi. Ma a qualcuno faceva più comodo prenderlo a Radda, in paese, allora il signore che aveva il negozio di alimentari nel paese ci ha proposto di prendere da noi il pane che le persone avevano ordinato e di venderlo sottobanco. Era molto carino. Poi quello del bar ci prendeva il latte per fare i cappuccini… ma sempre tutto sottobanco! Noi non avevamo nessuna certificazione, ma la gente del paese era consapevole della difficoltà di ottenere certe certificazioni e poi i nostri prodotti erano buoni e la gente li richiedeva!

La gente non ci capiva bene, non è che condividessimo tante cose, ma non ci ostacolava. Io ai tempi non guidavo la macchina, andavo in giro a cavallo. Arrivavo in paese con il cavallo e il mio figlio più piccolo perché lo dovevo allattare. Il vigile mi aveva assegnato un posto dove potevo “parcheggiare” il cavallo mentre facevo la spesa a patto che pulissi se il cavallo faceva la cacca.

A Radda sono nati due bambini. I due bambini sono nati assistiti da un’ostetrica tedesca che assisteva i parti in casa.

Noi siamo stati i primi a fare il biologico a Radda, proprio nel momento in cui arrivavano le grandi aziende vinicole e si iniziava a soppiantare tutte le altre colture con la vite. Eravamo un po’ pionieri e la gente non capiva bene cosa facessimo. Ai tempi lì c’erano ancora due pastori, uno sardo a Radda e un altro verso Lucarelli, ma poi, dopo poco, sono spariti tutti e due e hanno messo vigne ovunque.

A metà degli anni Novanta io e Gaspare ci siamo lasciati. Sono andata a vivere a Panzano e gestivo un agriturismo. Purtroppo poi la casa di Radda l’abbiamo venduta ad un americano. Lui ha distrutto tutto, nelle stalle ci ha fatto delle sale per conferenze. Ora quel luogo non ha più nessun senso… C’è pure la piscina… nel fienile ci hanno fatto una casa, sotto l’aia una fitness-room. Non ho mai più avuto il coraggio di andarci.

Una decina di anni fa sono venuta a vivere qui [al “mulino”]. Era la casa di Bernardo, il mio compagno. Lui era di Monaco e trent’anni fa comprò questo posto che quando è morto mi ha lasciato in eredità. Questo è un mulino usato dal 1042. Serviva alle monache che vivevano alle Fontanelle [ex-convento poco distante]. Quando è morto Bernardo l’ho dovuto ristrutturare: ho cercato di farlo con rispetto, usando solo prodotti ecologici e materiali naturali, fare i pannelli solari, raccogliere l’acqua… Ho anche cercato di rispettare la natura del luogo. Una volta ho fatto venire un signore a farmi un preventivo per installare qui dei pannelli solari. Siamo saliti sul tetto e la prima cosa che mi ha detto è stata che avrei dovuto abbattere il nocio… Io mi sentivo morire! Io so che questo nocio l’ha piantato l’ultimo mugnaio del mulino. Non ce la farei mai a buttarlo giù. Veramente. Sarebbe come ammazzare qualcuno. Non ce la farei. Mi sentivo male quando l’ha detto… Quel pioppo lì è enorme, proprio a ridosso del tetto: i rami quando cadono mi rompono le tegole ma io non lo taglio! Gli alberi sono i custodi del luogo e hanno il loro diritto a stare lì.

Io del Chianti adoro il paesaggio e le persone che ci vivono. Qui ci sono delle case bellissime e il paesaggio è armonico e pittoresco… nonostante tutte queste vigne!

Io in realtà mi sono costruita un microcosmo molto diverso dall’immagine tradizionale del Chianti, introno a casa mia c’è una natura molto più natura, molto più lasciata a se stessa. Non mi piace la pulizia sterile delle cose… questa piccola isola è quello che mi piace. Questo è il mio microcosmo.

Bruna parla piano, sottovoce, con una pacatezza e una grazia che apparentemente contrastano con la forza e la determinazione del suo racconto. È lieve e forte, accogliente e maestosa, protetta anche dalla nuvola di capelli bianchi portati con fierezza, segno immediatamente visibile di una vita vissuta nella ricerca rispettosa di un’armonia con l’ambiente e la naturalità dello scorrere del tempo.

Bibliografia:

Pistacchi M. (a cura), Vive voci. L’intervista come fonte di documentazione, Roma, Donzelli, 2010

Video:

Bruna Rampa e il suo mulino. Riprese di  Irene Barrese a Gaiole in Chianti (Si), maggio 2013

Autore scheda: Irene Barrese

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