Il pranzo della festa

Luogo: Chianti

Comune: Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Radda in Chianti, Castelnuovo Berardenga

Data/periodo: Quando veniva ucciso il maiale, solitamente nel periodo natalizio

Descrizione: Il menu festivo, nella società mezzadrile, si distingueva nettamente da quello della vita di tutti i giorni, in primo luogo per la presenza della carne, quasi del tutto assente nel menu quotidiano del contadino.

Il pranzo della festa, oltre a seguire le ricorrenze più importanti (Natale, Pasqua, domenica), spesso coincideva anche con l’uccisione del maiale. La “sporcellata” (o anche “smaialata”) era in effetti un momento di allegria e abbondanza, dove si invitavano i vicini e si mangiavano insieme migliacci di sangue, bistecche e fegatelli.

A distinguere la festa dall’ordinarietà era anche la varietà delle pietanze, più numerose, più ricche, mentre il pranzo quotidiano molto spesso si caratterizzava per un solo tipo di piatto. L’aggiunta di ingredienti sanciva ancor più la differenza: il sugo veniva preparato con la carne, la salsiccia, il coniglio o la pancetta, facevano la loro comparsa i dolci, il vino era bevuto pretto (si bandiva, una volta tanto, l’“acquerello” o il “mezzone”, cioè il vino che la massaia annacquava per farlo durare di più).

La carne, come si diceva, era l’alimento principale. Quale che fosse la ricorrenza doveva esserci abbondanza di carne perché si potesse considerare un pranzo festivo. C’erano i crostini neri, spalmati con una salsa calda di milza e fegatini, la pasta fatta a mano con il sugo di carne o in brodo, le lasagne al forno. Come secondo ci poteva essere il lesso di vitello, il coniglio in umido, il pollo alla griglia o il maiale.

Il pranzo della festa era una delle poche parentesi del tempo del lavoro e anche un momento catartico di dispendio e di spreco. Molti pranzi sono ricordati come pantagruelici: abbuffate dove si poteva ingrassare di qualche chilo in una sola volta, ben consapevoli che durante tutta la settimana, o fino alla festa successiva, il pasto si sarebbe ridotto alla minestra di pane, a qualche aringa, ai pochi salumi che si conservavano durante l’anno.

Dopo la mezzadria, il pranzo della festa si è trasformato nel rituale domenicale della classe media e del ceto impiegatizio, spesso legato al calendario religioso (Natale e Pasqua) e alla consacrazione del giorno settimanale di riposo.

Bibliografia:

Apergi F., Bianco C., La ricca cena. Famiglia mezzadrile e pratiche alimentari a Vicchio di Mugello, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1991

Falassi A., Stiaccini P., Di Corato R., Pan che canti vin che salti. Cucina ricca e cucina povera nel Chianti, Siena, Editrice I Torchi chiantigiani, 1988

Audio:

Intervista a Galantino (Giorgio) Pagni raccolta da Valentina Lusini e Pietro Meloni a Gaiole in Chianti il 14 aprile 2013

Autore scheda: Pietro Meloni

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