Vin vermiglio

Luogo: Chianti

Comune: Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Radda in Chianti, Castelnuovo Berardenga

Descrizione: Del vino, oggi, si scrive molto. Si direbbe che si è più portati a parlarne che a berne, tanto che spesso il rapporto con il “liquido odoroso”, come lo chiama Sandro Sangiorgi, si trasforma in una degustazione tecnica, che poco spazio lascia al piacere.

Dai racconti dei chiantigiani emerge, d’altra parte, tutta un’estetica del bere come esperienza profonda, tanto che il gusto va raccontato, tradotto in parole, condiviso con gli altri. Certo, alle volte le descrizioni usano un linguaggio specifico, per cui si parlerà di “rotondità” del gusto, di “sapidità”, di “acidità”. Tante altre volte, invece, il vino si racconta con parole semplici, che provengono direttamente dal vissuto quotidiano, dal rapporto con il proprio territorio e con le persone che lo abitano. Il Chianti è allora quel “vin vermiglio”, dal colore un po’ annacquato, che si beveva nelle famiglie contadine. Un vino dove erano ancora presenti le uve bianche, che davano alla bevanda nitidezza, freschezza e un sapore gentile.

Per alcuni, il disciplinare che ha escluso le uve bianche dal Chianti Classico ha operato una vera violenza per il palato. Un anziano contadino chiantigiano spiega che per lui, oggi, il vino è meno bevibile perché il Sangiovese è un vitigno straordinariamente buono e bello anche a vederlo quando è sulla vigna, però è crudo, è ruvido, è un vitigno che non è docile… un chicco di uva di Malvasia ha una dolcezza, un’armonia che è straordinariamente buono. Un chicco di Sangiovese è buono ma gli rimane quel sapore ruvido che rimane anche nel vino. Il vino che si produceva un tempo era invece un vermiglio che, per quanto era saporito, mordeva la punta della lingua, ma si poteva bere a tutte le ore, perché non era questo vino denso, nero, che va fatto invecchiare per esser bevuto, ma era un vino d’annata, da consumare entro un paio di anni.

Molti, nei piccoli borghi che ho visitato per raccogliere testimonianze e documenti, hanno dichiarato di avere nostalgia di questo vino che si poteva bere tutti i giorni. Oggi, in effetti, si producono quasi esclusivamente vini buoni per la degustazione ma non adatti al consumo quotidiano. Certo, a ogni tempo corrisponde un certo palato e forse, per un degustatore odierno, il Chianti dei ricordi dei più anziani potrebbe non sembrare così buono.

Bibliografia:  

Albert J. P., La nouvelle culture du vin, in Terrain, 13, 1989, pp. 117-124

Antinori P., Il profumo del Chianti. Storia di una famiglia di vinattieri, Milano, Mondadori, 2011

Falassi A., Di Corato R., Stiaccini P., Pan che canti vin che salti. Cucina ricca e povera nel Chianti, Siena, Editrice I Torchi Chiantigiani, 1988

Meloni P., Politiche del valore ed estetiche del patrimonio enogastronomico nel senese, in “Lares”, LXXVI (3), 2012, pp. 375-391

Sangiorgi S., L’invenzione della gioia. Educarsi al vino: sogno, civiltà, linguaggio, Roma, Porthos, 2011

Documenti:

La carta dei vini

Autore scheda: Pietro Meloni

 

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