Gli antichi enti ospedalieri e assistenziali a San Gimignano
Luogo: San Gimignano
Comune: San Gimignano
Descrizione: In antichità, San Gimignano era attraversata da un antico sentiero dell’asse viario della Francigena che funzionava come importante collegamento tra Siena e Pisa. Ciò fece della città un imprescindibile centro di transito, connesso alle principali rotte commerciali che, tramite il porto della città marinara, si aprivano verso il Mediterraneo.
I bisogni della popolazione meno abbiente, dei numerosi viaggiatori e dei pellegrini favorirono la nascita di una fitta rete di strutture assistenziali. A San Gimignano, i primi a dedicarsi alla cura dei bisognosi furono gli aderenti agli ordini cavallereschi dei Templari e dei Gerosolimitani. I loro raffinati edifici di culto, fra i più belli dell’architettura tardo romanica sangimignanese (come ad esempio la chiesa di San Jacopo), erano in realtà centri promotori di un’efficace attività ospedaliera.
Specialmente nel corso del Duecento, gli ospedali andarono moltiplicandosi. Alcuni sorsero per iniziativa privata (come ad esempio l’ospedale di Donna Nobile, attivo in via delle Romite), altri a fianco di istituzioni religiose (come quello di Santa Croce della Pieve).
Al 1315 risale l’istituzione di una succursale sangimignanese dell’ospedale Santa Maria della Scala di Siena, dedicata all’assistenza dell’infanzia abbandonata. Fu fondata da ser Chiaro di Ubaldo Palmieri, che lasciò le sue case fuori da Porta San Giovanni, presso la fonte di Pietra Tonda, perché vi fosse installato un ricovero per l’assistenza dei bambini. Fin dal 1322, l’ospedale era corredato da un portico e, nel Cinquecento, comprendeva ventiquattro stanze, una sala e una cappella. In questo luogo, i fanciulli venivano raccolti, allevati e dati a balia, dotati di un’istruzione o di un mestiere e, spesso, condotti fino a nozze onorevoli.
Rimasto per lungo tempo sotto le direttive senesi, l’ospedale fu unito, per volere di Cosimo I, all’ospedale degli Innocenti di Firenze, con l’obbligo di mantenere le funzioni assistenziali e di inviare una volta all’anno gli esposti, al termine del baliatico, presso la sede fiorentina, in occasione della festa di San Giovanni. In questo passaggio ebbe una nuova sede, coincidente con una casa appartenuta ai Bracceri, situata dentro le mura, in piazza della Cisterna. Il vecchio edificio venne invece demolito a seguito della costruzione dell’antiporto mediceo, esterno alla porta meridionale della città.
L’ospedale più importante di San Gimignano e l’unico in grado di confrontarsi, quanto a patrimonio fondiario, con quello di Santa Maria della Scala, fu senza dubbio quello dedicato a Santa Fina, fondato dal Comune alla metà del Duecento con le elemosine lasciate sulla tomba della fanciulla. Eretto in prossimità di alcune case già esistenti e acquisite allo scopo, fin dalla sua istituzione comprese due vaste corsie a sala, nel 1334 definite “spedale degli uomini” e “spedale delle donne” e rispettivamente dotate di 17 e 11 letti. Tenendo conto dell’uso medievale di dormire in più persone in letti di notevoli dimensioni, si può ritenere che l’ospedale fosse in grado di ospitare un centinaio di poveri e di infermi.
A distanza di quasi cento anni, nel 1428, dopo che una serie di carestie e pestilenze avevano falcidiato la popolazione e dopo che, nel 1353, San Gimignano si era definitivamente sottomessa a Firenze, la situazione era forse meno florida rispetto al secolo precedente, ma il patrimonio complessivo, che oltre alla sede del complesso ospedaliero comprendeva numerose proprietà, fra le quali case, terre coltivate o a bosco, poderi e perfino la metà della proprietà dei mulini e delle gualchiere di San Galgano, sull’Elsa, era ancora ragguardevole. L’accorpamento dei vari ospedali cittadini, conseguente il calo demografico, favorì quello di Santa Fina, sotto al quale passarono nel corso del XV secolo numerosi istituti, fra i quali quello di Donna Nobile e quello dei Disciplinati di Sant’Agostino.
Ovviamente la fabbrica era andata accrescendosi, rispondendo alle esigenze di un ente che diramava le proprie attività assistenziali e che per il sostentamento dei malati necessitava di cantine, magazzini, cucine, lavanderie e case per le persone che prestavano le cure agli assistiti e assolvevano a varie mansioni. Fra il personale interno, oltre allo “spedalingo” (eletto dal Comune) e alla sua famiglia, operavano oblati e conversi (spesso vedove) che avevano donato i propri beni all’ospedale e si dedicavano alla cura dei bisognosi in cambio di vitto e alloggio. I medici garantivano un certo numero di visite al mese in cambio di un salario fisso, spesso pagato in grano; nel 1576 erano attivi un fisico e un chirurgo.
Dal 1507, all’interno dell’ospedale viene attestata anche una spezieria. Nelle planimetrie settecentesche risulta suddivisa in due ambienti: la bottega, dedicata alla vendita al pubblico dei medicamenti, e la cucina, destinata alla confezione dei preparati medicinali e appositamente dotata di batterie di fornelli di varia dimensione.
A partire dal Cinquecento le funzioni devozionali, fino a quel momento assolte da altari e immagini sacre presenti all’interno delle corsie, furono svolte da una cappella comunicante con la via antistante l’ospedale, coperta da una volta con lunette affrescate dal sangimignanese Sebastiano Mainardi. All’interno di due nicchie circolari vennero collocati i busti di San Gregorio e di Santa Fina, rispettivamente in terracotta e marmo policromi, provenienti da Roma e attribuiti a Pietro Torrigiano. Le ornamentazioni giunsero ad interessare le corsie e in particolare quella degli uomini, come dimostra il fregio affrescato da Vincenzo Tamagni alla sommità dell’ambiente, oggi staccato.
Sul retro dell’edificio si estendeva un grande orto, in parte perfettamente organizzato in vaste aiuole servite da ampie riserve d’acqua. Addossato al lato meridionale dell’ospedale era presente un grande pollaio, sufficiente all’approvvigionamento della comunità che ruotava attorno alla struttura. Questa funzionava da centro di convergenza dei prodotti provenienti dai variegati possedimenti e concorreva al mantenimento dell’assetto sociale della città, oltre che con le cure elargite ai bisognosi, anche con cicliche elemosine, spesso in derrate alimentari, elargite nell’arco dell’anno, specialmente in concomitanza con i giorni di festa e destinate al sostentamento dei più poveri, che talvolta gratuitamente in case di proprietà del Santa Fina.
L’autorità del Comune sull’istituto era andata indebolendosi in seguito all’intervento fiorentino e, nel 1584, l’ospedale era passato alle dipendenze del Magistrato del Bigallo di Firenze, sotto la cui amministrazione rimase fino al 1777. Nel 1816, con decreto del granduca Ferdinando III, gli ospedali di Santa Maria della Scala e di Santa Fina, sul quale il Comune aveva nel frattempo riottenuto le sue prerogative, vennero unificati col titolo di “Spedali Riuniti di San Gimignano”.
A seguito di specifiche perizie, nella seconda metà dell’Ottocento si dette l’avvio al profondo ammodernamento e risanamento dell’ospedale, gran parte del quale si deve all’opera di Giuseppe Partini, che aveva sviluppato le idee del Burresi. In primo luogo venne ampliata la corsia dei militari, ove venne trasferito il reparto femminile, e venne risolto il problema degli ingressi, che vedeva sottoposta a un doppio uso la cappella, tramite la traslazione di questa in un locale ricavato dalla suddivisione dell’antica corsia delle donne, luogo ove ancora oggi si trova.
Un ulteriore aggiornamento, soprattutto finalizzato alla creazione di moderni laboratori di analisi, di un’efficiente sala operatoria, all’attivazione di una specifica sezione sanatoriale, nonché a una più razionale ripartizione degli spazi di degenza, venne condotto intorno agli anni Trenta del Novecento, ma pure nell’immediato dopoguerra vasti interventi di distruzione e ricostruzione interessarono intere ali del complesso, rimasto in attività fino ai primi anni del Duemila.
Ancora oggi, il complesso mantiene funzioni assistenziali tramite un efficiente centro di riabilitazione e una residenza per anziani, oltre ai numerosi ambulatori quotidianamente operativi.
Bibliografia:
Pecori L., Storia di San Gimignano, Firenze, Tipografia Galileiana, 1853, pp. 366-377
Battistini M., Gli spedali dell’antica diocesi di Volterra, Pescia, Franchi, 1932
Pinto G., Lo spedale di Santa Fina nel contesto cittadino, in Pinto G. et al., Una farmacia preindustriale in Valdelsa. La Spezieria e lo spedale di Santa Fina nella città di San Gimignano, Certaldo (FI), Federighi, 1981, pp. 19-35
Sandri L., L’ospedale di S. Maria della Scala di S. Gimignano nel Quattrocento. Contributo alla storia dell’infanzia abbandonata, Biblioteca della “Miscellanea Storica della Valdelsa”, n. 4, Firenze, 1982
Note: Nell’inventario dei beni mobili dell’ospedale redatto nell’ottobre 1495, fra le altre cose, risulta presente nel pellegrinaio degli homini uno crocifixo grande. Si tratta, probabilmente, del bellissimo crocifisso ligneo policromo attribuito a Benedetto da Maiano, capolavoro dell’arte rinascimentale, rimasto fino agli anni Settanta del Novecento proprio nella corsia degli uomini e in seguito traslato in un altro ambiente dell’ospedale. Recentemente è stato riscoperto da un restauro che, rimuovendo il nerofumo e le più tarde mani di velature, ne ha rivelato i raffinati colori, ancora perfettamente conservati.
Autore scheda: Antonello Mennucci
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