La Tomba della Quadriga Infernale a Sarteano

Luogo: Località Pianacce

Comune: Sarteano

Data/periodo: 330-320 a. C.

Descrizione: Nell’ottobre 2003, durante le annuali campagne di scavo del Museo Civico Archeologico di Sarteano con il Gruppo Archeologico Etruria, nella necropoli etrusca delle Pianacce, è venuta alla luce una tomba databile agli ultimi decenni del IV sec. a. C. con uno straordinario ciclo pittorico in ottimo stato di conservazione. La tomba monumentale e scavata nel travertino locale, presenta un corridoio scoperto intagliato nel travertino di 19 metri di lunghezza con quattro nicchie e dopo la porta un lungo corridoio che dà accesso ad una camera a pianta quadrangolare di circa di m. 3,50 di lato. Sul lato sinistro la decorazione pittorica si sviluppa in quattro zone: sulla prima parte del corridoio la scena del demone che conduce una quadriga, sulla stessa parete, dopo una nicchia, due defunti distesi sulla kline in un banchetto ambientato nell’Aldilà, il tutto incorniciato tra un meandro superiore in rosso e nero e un fregio con delfini che si tuffano nelle onde correnti nella parte inferiore sopra uno zoccolo rosso; sulla parete sinistra della camera: un serpente a tre steste di grandi dimensioni ed infine sul frontone della parete di fondo, sempre a sinistra, un ippocampo. La prima scena, che è quella più complessa, costituisce un vero unicum iconografico nell’arte etrusca e rappresenta una figura vestita di rosso, con capelli arancio, volto di colore bianco con caratteri singolari e arcigni, naso adunco, grande occhio spiritato e una zanna fuoriuscente dal labbro inferiore, che conduce un carro, anch’esso rosso nei parapetti e con timone a testa di grifone. Il carro è condotto da due grifoni e due leoni con corpi bianchi con una macchia scura all’interno, zampe anteriori sollevate munite di potenti artigli. Una nuvola nera avvolge le fiere, giungendo davanti al volto del conducente del carro. Di fronte a tutta la scena, diretta verso l’esterno della tomba, così come la quadriga, un’altra figura presumibilmente demonica di cui si conservano i piedi e la parte inferiore di un’ala.

La figura che conduce il carro è identificabile con Charun, equivalente del Caronte greco, in una iconografia tipica dell’aria orvietana e molto diversa da quella più nota delle pitture tarquiniesi. Il peculiare incarnato bianco si ritrova sui Caronti delle ceramiche orvietane del Gruppo di Vanth e la presenza della zanna è attestata a Orvieto su lastre fittili conservate al Museo Faina. Peraltro il carattere ultraterreno del cocchio è dimostrato, oltre che dalla grande nuvola nera che l’avvolge, anche dalla stessa natura degli animali che lo conducono: i leoni rimandano ad una iconografia della dea Cibele, nota in ambito greco almeno a partire dal fregio del tesoro dei Sifnî a Delfi, mentre i grifoni sono assimilabili concettualmente ai “draghi alati” che trainano la biga di Persefone su due note anfore del Gruppo di Vanth al Museo Faina di Orvieto con rappresentazione del viaggio agli Inferi. Un altro elemento della scena che rimanda ad area orvietana è la singolare resa dell’interno del corpo dei nostri animali, uno stilema che si ritrova nel corpo del cavallo sul cratere dello stesso Gruppo di Vanth e sul corpo del centauro del cratere del Gruppo di Troilo da Settecamini.

Tutti questi elementi rimandano pertanto con certezza ad Orvieto per la provenienza degli artisti che dipinsero la tomba con l’unica raffigurazione di Charun come auriga, ma nel suo consueto ruolo di demone psicopompo cioè di accompagnatore del defunto nel mondo dell’Aldilà.

Alle spalle del demone si apre una nicchia, incorniciata da una porta di tipo cosiddetto dorico, che rappresenta il limite del mondo ultraterreno. A destra della nicchia si sviluppa la seconda scena che consiste in una coppia maschile distesa sulla kline del banchetto che in quest’epoca, a differenza del periodo tardo arcaico e classico in cui si raffigurava il banchetto reale dei parenti del defunto, è sempre ambientato nell’Ade e svolto dai defunti stessi. I due personaggi maschili semidistesi indossano mantelli che lasciano completamente scoperto il torace, e sono caratterizzati da una resa marcata della differenza di età: quello di destra più maturo, con la barba e la carnagione più chiara, è reso di profilo a sinistra, mentre avvolge con il braccio destro le spalle dell’altro: un giovinetto con pelle più scura, rivolto al compagno con un inconsueto gesto di saluto affettuoso, anch’esso senza confronti nella pittura parietale etrusca. I due si appoggiano su una kline gialla ricoperta da un materasso con decorazioni analoghe a quello dell’unica conservata della tomba Golini II di Orvieto e con doppi cuscini decorati da fasce nere e rosse. Questa parte della figurazione pittorica è caratterizzata da una serie di linee preparatorie incise che non sono state seguite nel successivo sviluppo della linea di contorno e del colore, cioè i cosiddetti “pentimenti”.

Accanto ad essi un servitore, vestito con una tunica trasparente e che tiene in mano un colino per filtrare il vino. Il volto giovanile con corti capelli chiari ricorda molto quelli dei servitori della tomba Golini I di Orvieto, in particolare del suonatore di doppio flauto.

La presenza di coppie maschili su klinai è molto frequente a Chiusi, già nei cippi arcaici di pietra fetida, e a Orvieto nelle tombe Golini dove le iscrizioni ci testimoniano che si tratta di coppie parentali. Il gesto del tutto unico che compie il giovane (caratterizzato dalla carnagione abbronzata dai giochi atletici all’aperto) verso l’uomo più maturo non ha confronti, ma sembra più rimandare ad una espressione di affetto della sfera familiare in occasione del ricongiungimento tra un padre e un figlio, piuttosto che essere riferibile alla sfera erotica, come avviene invece nella Tomba del Tuffatore di Paestum. Un parallelo diretto è invece istituibile con il ritratto di profilo di Velθur Velcha sulla parete destra della tomba degli Scudi di Tarquinia e il nostro uomo maturo: si tratta sicuramente dell’uso di uno stesso “cartone” cioè di uno stesso modello iconografico.

Nella camera di fondo, che viene simbolicamente a rappresentare il recesso dell’Ade, a tutta parete su fondo bianco è raffigurato un enorme serpente a tre teste con il corpo avvolto in un’unica grande spira. Le teste, due delle quali con denti digrignanti, sono munite di una cresta rossa e di una lunga barba triangolare. Si tratta di una chiara allusione all’ambito ctonio, e di una presenza simbolica ricorrente nella ceramografia e nella pittura parietale della seconda metà del IV sec. a. C.; sempre in ambito orvietano si trova il confronto più stringente per il mostro di Sarteano, seppur chiaramente in tutt’altra dimensione: nel serpente a due teste con cui combatte il piccolo Eracle sul lato A dello stamnos del Pittore di Settecamini, attivo a Orvieto tra il 360 e il 330 a. C.. Come si vede sono continui i rimandi tra la decorazione figurata del sepolcro sarteanese e Orvieto e in particolar modo con le tombe di Settecamini.

Sul semitimpano della parete di fondo domina un grande ippocampo, simbolo, come i delfini del fregio del corridoio, del mondo marino come metafora di passaggio, ovvero del tuffo fra i flutti inteso come momento di transizione tra il mondo terreno e quello ultraterreno. L’ippocampo costituisce la più comune decorazione dei frontoni delle tombe tarquiniesi comprese tra il 530 e il 510 a. C., sia isolato sia associato a scene figurate, ed è poi attestato anche in alcune tombe della seconda metà del IV sec. a. C..

Al di sotto del timpano domina un grande sarcofago di alabastro grigio volterrano, ma lavorato da artisti di area chiusina, con defunto recumbente sul coperchio e doppia kline a basso rilievo sulla cassa.

Il corredo della tomba, esposto al Museo Civico Archeologico di Sarteano, comprende tre kylikes del Gruppo Clusium di produzione locale, ceramiche a vernice nera, brucia-incensi decorati con figure di uccelli, resti frammentari di un’armatura oplitica in bronzo.

La tomba subì, come altre tombe delle Pianacce, una seconda riutilizzazione a scopo abitativo tra X e XII secolo, durante la quale il lato destro della camera venne completamente distrutto.

L’eccezionalità di questo monumento non consiste soltanto nella rivoluzionaria novità delle sue iconografie e in una documentazione straordinaria della rara pittura di IV sec. a. C. con temi profondamente connessi al mondo infero, al viaggio nell’al di là e alle simbologie della morte così diverse da quelle di epoca arcaica, ma consiste anche, insieme ai ritrovamenti di tutta la necropoli e di molti altri avvenuti negli ultimi vent’anni, in una conferma archeologica di una continuità di occupazione del territorio nel V e IV sec. a. C. che cozza con la notizia liviana del quasi totale spopolamento delle campagne chiusine al momento della calata dei Galli.

Bibliografia:

Minetti A., Sarteano: necropoli delle Pianacce – campagna di scavo 2005 in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana” n. 1 II vol., Firenze 2006, pp. 425-428

Minetti A., Sarteano: necropoli delle Pianacce – campagna di scavo 2006 in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana” n. 2 II vol., Firenze 2007, pp. 483-487

Minetti A., Sarteano: necropoli delle Pianacce – campagna di scavo 2007 in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana” n. 3 II vol., Firenze 2008, pp. 657-661

Minetti A., Sarteano: necropoli delle Pianacce – campagna di scavo 2008 in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana” n. 4 II vol., Firenze 2009, pp. 557-561

Minetti A., Sarteano: necropoli delle Pianacce – campagna di scavo 2009 in “Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana” n. 5, 2010, pp. 424-427

Minetti A., Le ricerche alle Pianacce nel 1954, in Grandi archeologi del Novecento. Ricerche tra Preistoria e Medioevo nell’agro chiusino, a cura di A. Minetti- G. Paolucci, Regione Toscana, 2010, pp. 118-139

Minetti A. – Maccari A., Il corredo della tomba delle Pianacce. 1954, in Grandi archeologi del Novecento. Ricerche tra Preistoria e Medioevo nell’agro chiusino, a cura di A. Minetti- G. Paolucci, Regione Toscana, 2010, pp. 140-151

Minetti A., Le ricerche alle Pianacce nel 1956, in Grandi archeologi del Novecento. Ricerche tra Preistoria e Medioevo nell’agro chiusino, a cura di A. Minetti- G. Paolucci, Regione Toscana, 2010, pp. 152-153

La necropoli delle Pianacce nel Museo Civico Archeologico di Sarteano, a cura di A. Minetti, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2012

Links:

www.museosarteano.it/pagina4.php?linguanumero=1

Autore scheda: Alessandra Minetti

 

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