Oppidum di San Fedele in Chianti – Radda in Chianti
Luogo: San Fedele a Paterno
Comune: Radda in Chianti
Data/periodo: V secolo a. C. – età romana
Descrizione: In questo sito, nell’autunno del 1970, sono state individuate e scavate da Lengeyl e Randan del Northern Kentucky State College and American Istitute for Mediterranean Archaeology, in collaborazione con Mazzeschi, una serie di strutture murarie identificate come pertinenti a un antico centro d’altura fortificato.
A darne notizia è lo stesso Mazzeschi in una pubblicazione del 1976, in cui tuttavia indica il luogo di rinvenimento delle strutture in maniera abbastanza generica: le colline tra i vigneti del Chianti presso San Fedele a pochi chilometri da Siena. Il Mazzeschi descrive nel sito il ritrovamento di una caratteristica costruzione composta da grosse muraglie a secco, che in cerchi concentrici, a pianta ellissoidale, dalla sommità di una collina vanno degradando lungo i fianchi, ricordando insieme i famosi “Ziqqurat” delle antiche civiltà mesopotamiche e il purgatorio dantesco.
L’autore racconta come la scoperta avesse destato all’epoca curiosità e interesse, sia perché le strutture erano sfuggite evidentemente a indagini archeologiche precedenti, sia perché sembravano presentare analogie con le costruzioni celtiche denominate “OPPIDUM” del bacino della Marna, della Spagna, dell’Irlanda e dell’Inghilterra, descritte da Powell (n.d.r.: T.G.E. Powell, I Celti, Milano 1961) nel suo volume sui Celti.
L’idea proposta era quella che l’oppidum di San Fedele fosse stato costruito da una comunità celtica penetrata in territorio toscano alla fine del V secolo a. C. Il fatto sarebbe stato confermato da vari reperti rinvenuti in precedenza nei dintorni e poi durante gli scavi stessi, sebbene alcune strutture rimandassero invece ad epoca romana. La possibilità che alcune murature fossero romane, e che dunque si dovesse ipotizzare anche un’occupazione romana del sito, venne comunque tenuta in conto da Lengeyl, Randan e Mazzeschi, data la relativa vicinanza del centro di San Fedele al fiume Arbia ed al percorso della Cassia antica. Scrive il Mazzeschi al riguardo: Questa certezza viene data inoltre da una grande quantità di embrici in terracotta di tipica fattura romana insieme ad altro materiale (forse votivo) in ceramica, ma soprattutto dal ritrovamento di una grande cisterna, il cui stato di conservazione è tale da consentire uno studio approfondito del sistema idrico e conseguentemente dello sviluppo degli eventuali edifici di periodo romano che dovevano sorgere in questo centro.
Un altro rinvenimento su cui Mazzeschi si sofferma è quello di una grossa pietra, in parte deteriorata, ma che sembra conservasse un’iscrizione in “caratteri arcaici” etruschi, tradotta con “attenti agli scogli”: un’epigrafe evidentemente difficile da spiegare in una zona interna come quella del Chianti e che Mazzeschi ha messo in relazione dunque con una popolazione di viaggiatori e forse anche di marinai, appunto da nord, penetrata in questo territorio anticamente. Inoltre l’autore racconta la scoperta di numerose tombe lungo il perimetro della seconda cerchia di mura, e in particolare, in una di queste tombe, coperta da lastroni di pietra, il rinvenimento dei resti inumati di due individui adulti e di due individui di età più giovane, di cui i secondi privi della testa, che avrebbero fatto ipotizzare l’uso di riti cruenti all’interno della comunità che abitava all’epoca il centro di San Fedele.
Furono inoltre ritrovate alcune piccole muraglie a forma circolare del diametro di 3-4 metri sulla pendice est della collina su cui sorgeva l’antico oppidum, interpretate come fondi di capanne o, date le piccole dimensioni, come monumenti funerari.
Inoltre, a picco sul fiume vicino, sarebbero stati ricavati dei vasti tagli nella roccia di destinazione non chiara. L’autore, pur facendo presente il carattere preliminare delle supposizioni fatte sui dati di scavo, conclude affermando che comunque non è affatto improbabile che gli stessi “Galli Senoni” siano penetrati in territorio senese, dove esistevano allora solo piccoli villaggi (…) con popolazioni etrusche dedite all’agricoltura e che a questi dunque si possa riferire la fondazione dell’oppidum di San Fedele.
Molto di ciò che all’epoca venne supposto dagli studiosi che effettuarono lo scavo appare oggi decisamente poco credibile e chiaramente superato, ma ci è sembrato comunque interessante spiegare su quali presupposti teorici questi studiosi fondarono la loro interpretazione di un contesto archeologico, attualmente perduto, che sembra oggi difficile da recuperare e indagare. Nella carta archeologica del Chianti, i dati sicuri segnalati sono quelli che riguardano i ritrovamenti effettivamente documentati che attestano sul sito l’esistenza di un centro d’altura fortificato e circondato da due terrazzi sostenuti da robuste mura in pietra, costruite a secco, con spessore variabile tra due e tre metri. La collina su cui negli anni Settanta venne individuato il sito è attualmente coperta di prati, boschi e zone coltivate, così che nessuna delle strutture descritte risulta al momento visibile o riconoscibile.
Bibliografia:
Mazzeschi E., Cronache di archeologia senese, Siena, Cantagalli, 1976
Steingraber S., Città e necropoli dell’Etruria, Roma, 1983
Valenti M., Carta Archeologica della provincia di Siena. Il Chianti senese, Siena, Nuova Immagine, 1995
Note: La mancanza di riferimenti fisici chiari riguardo al luogo di rinvenimento delle strutture e di dati più certi riguardo alle coordinate spaziali dello scavo effettuato da Lengeyl e Randan nelle fonti bibliografiche rintracciate non ci ha permesso di identificare con assoluta certezza la collina interessata dalle indagini degli anni Settanta, tra le due visibili in località San Fedele a Paterno.
Autore scheda: Società Cooperativa Archeologica ARA
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