Il fabbro

Luogo:  Chianti

Comune: Gaiole in Chianti, Castellina in Chianti, Radda in Chianti, Castelnuovo Berardenga

Data/periodo: Il fabbro è stato un mestiere largamente diffuso fino ai nostri giorni, lentamente sostituito dal lavoro meccanizzato e riscoperto come forma di artigianato negli ultimi anni

Descrizione: La maestria, l’abilità e la capacità di improvvisare rendono il fabbro una figura davvero particolare. Legato principalmente all’economia del lavoro agricolo e dei boschi, il fabbro forgiava e accomodava i ferri per gli zoccoli degli animali e gli attrezzi da lavoro: vomeri, zappe, vanghe, picconi, accette e roncole, gli arnesi più comuni del mondo contadino e di chi lavorava nei boschi.

La strumentazione del fabbro era essenziale: l’immancabile incudine dove battere il ferro, il mantice, la forgia e il tavolo da lavoro con la morsa. Qualcuno possedeva il tramaglio (conosciuto anche come travaglio) per la ferratura dei buoi da lavoro.

Con la fine della mezzadria e la meccanizzazione del lavoro, il fabbro è scomparso o divenuto figura marginale; in alcuni casi si è convertito al lavoro artigianale e artistico, come nel caso di Fabio Zacchei di Castelnuovo Berardenga.

Mio nonno, mi racconta Galantino Giorgio Pagni, aveva una bottega in affitto. C’era un grosso mantice con una corda per alimentare il camino e c’era l’incudine con il ceppo, di 108 chili. Qui si faceva il lavoro del fabbro. Qui si faceva la ferratura dei cavalli e dei muli per la smacchiatura dei boschi. In più si facevano gli attrezzi per arare: coltri, estirpatori, quarantadenti (sono quelli che si spiana il terreno, sempre con l’ausilio dei bovi). E poi si facevano i piccoli lavori come assottigliare le zappe, i bidenti, arrotare le coltelle del falcione, arrotare le coltelle per l’uso della cucina, oppure pennate, roncole… E questi lavori, guarda caso, non erano pagati dalla fattoria direttamente in denaro, ma venivano pagati al momento della raccolta dell’uva e della raccolta del grano; cioè quando si miete il grano e si batte il grano, uno staio di grano andava al fabbro che ce lo portavano qui in bottega e trenta chili d’uva quando c’era la vendemmia che si andava noi di persona a prenderla, con un carretto (allora non c’erano le macchine), e questo era praticamente un compenso in natura che i vari contadini che si facevano fare i lavori in questa bottega scambiavano con il fabbro.

Nel retro bottega c’erano due tinelli dove mettevamo l’uva a fermentare e tiravamo fuori il vino per il consumo quotidiano e il pane, lo stesso, che c’era qui il mulino e ogni mese si faceva il pane, e qui si poteva macinare solo per il mese, e si vedevano le donne portare un asse di legno sulla testa che portavano i pani al forno per cuocerli.

La giornata tipo di un fabbro… dipendeva molto da famiglia a famiglia, noi non eravamo molto mattinieri, in famiglia mia ci si levava intorno alle otto del mattino, sette e mezzo, otto… mio babbo andava a suonare nelle orchestre, tornava tardi, quindi praticamente non s’era molto mattinieri… La prima cosa che si faceva c’era l’appuntamento con un contadino al tramaglio (il tramaglio era qua a duecento metri) per ferrare un paio di bovi. Questi buoi, specialmente d’estate, bisognava ferrarli “per il fresco” si diceva, perché sennò i tafani e le mosche disturbavano gli animali e quindi si cercava, insomma, verso le sette e mezzo, l’otto, di essere al tramaglio… E quindi si faceva questa ferratura. Poi si ritornava qui a casa, si faceva colazione… il caffelatte s’era preso appena ci si alzava, però c’era una colazione con pane, tonno salame, quello che c’era, perché in questa casa si ammazzava il maiale e quindi c’erano a disposizione quelle parti che venivano a maturazione del maiale: prima, per dire, il capofreddo e le salsicce, poi i salamini più piccoli, poi il salame più grosso, poi i prosciutti, poi le spalle… Poi naturalmente la bottega cominciava… a fare il suo lavoro di costruzione di attrezzi agricoli come coltri con la stanga di legno, le vomerine… o degli estirpatori che avevano sei o sette bracci che naturalmente affinavano la terra quando si seminava… poi i quarantadenti che erano delle strutture che avevano appesi alla loro struttura principale dei denti che spianavano la terra per seminare il grano… Non si facevano i carri perché il carraio era qui sopra… Quindi noi l’unica cosa che si faceva di legno era questa stanga che era fatta o di castagno oppure di un altro legno molto resistente come l’acacia… e che serviva ad attaccare il bove al coltro… Eppoi naturalmente a mezzogiorno la mamma chiamava e s’andava tutti a pranzo. Si dormiva fino a verso le quattro, il babbo andava a dormire. Alle quattro si alzava e si ricominciava il nostro lavoro, a volte sempre di coltri… oppure fare assottigliature, cioè battere le vomerine che erano consumate dall’aratura… quindi bisognava riassottigliarle e renderle taglienti… perché sprofondassero nel terreno più facilmente… Questo fino a verso le sei e poi naturalmente si smetteva il lavoro… Quando pioveva arrivavano gruppi di contadini… che avevano un modo di portare l’ombrello… s’infilavano il manico dell’ombrello nel collo della giacca, e arrivavano questi contadini con delle ceste piene di attrezzi che molte volte… che poi le volevano riportare via subito… e nei giorni di pioggia la bottega si riempiva di contadini con queste ceste di attrezzi da affilare o assottigliare… Io ho fatto questo lavoro fin quando i contadini non sono andati via, alla fine della mezzadria, quando Gaiole si è spopolata.

Bibliografia:

Solinas P. G., Soma automa, in P. G. Solinas (a cura di) Gli oggetti esemplari. I documenti di cultura materiale, Montepulciano, Editori del Grifo, 1989, pp. 223-237

Video:

Interviste a Galantino (Giorgio) Pagni raccolta da Valentina Lusini e Pietro Meloni a Gaiole in Chianti il 14 aprile 2013

Autore scheda: Pietro Meloni


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