I carbonai nel Chianti

Luogo: Chianti

Comune: Gaiole in Chianti, Castellina in Chianti, Radda in Chianti, Castelnuovo Berardenga

Data/periodo: Fino agli inizi degli anni Settanta

Descrizione: Il territorio del Chianti è contrassegnato dalla presenza di vaste zone boscose, che certamente non sono i referenti estetici principali del paesaggio che entra nell’immaginario turistico, fatto di aree fortemente antropizzate che alternano i vigneti alle colline e alle distese di ulivi. Nondimeno, il bosco ha avuto, specialmente in passato, un ruolo fondamentale nella cultura e nell’economia di queste zone, impiegando molti lavoranti nel taglio delle piante, nelle operazioni di smacchiatura e in quelle di lavorazione del legname.

Uno dei lavori più diffusi, oggi praticamente scomparso, era quello del carbonaio, che si occupava di produrre il carbone per l’uso quotidiano. A Barbischio, un piccolissimo centro nei pressi di Gaiole in Chianti originariamente abitato perlopiù da boscaioli, abbiamo incontrato il novantenne Gino Chini, che ha passato gran parte della sua vita a lavorare nei boschi, cominciando da ragazzino come garzone del padre carbonaio. Ecco il suo racconto:

Io a 12 anni ho cominciato a lavorare nel bosco… fino a 20 anni. Noi di mestiere si faceva il carbonaio e quello l’ho fatto dai 12 anni, insieme al [mio] padre e a tre figli, fino a che avevo 20 anni. Si cuoceva il carbone. D’inverno si tagliava la legna, poi di primavera, perché il carbone si cuoce di primavera, da marzo a giugno diciamo, perché d’estate è troppo caldo e d’inverno non è adatto… e quando si cuoceva il carbone bisognava badare alla carbonaia notte e giorno. E si dormiva lì, si facevano delle capanne di terra, noi eravamo quattro, così due figli la notte andavano a casa a prendere il mangiare per il giorno dopo e gli altri due, un padre con il figlio, dormivano nel bosco per controllare la carbonaia.

Poi da anziano [io] no, non ho più dormito nel bosco, perché il carbone non si faceva più, si facevano solo le legna da ardere. […]

Il capanno era di terra con due pali e dentro ci si stava a dormire e a mangiare, ci si accendeva il fuoco, ci si stava tre mesi. […]

Noi si cuoceva anche ad altre persone che tagliavano il bosco ma non sapevano cuocere il carbone, perché fare il carbone è un arte, ci vuole esperienza, che non è da tutti, bisogna apprenderla questa arte mentre molti contadini e operai sapevano tagliare il bosco ma non avevano arte nel fare il carbone. E allora noi si offriva il servizio per fare il carbone anche a loro. Poi se non si faceva tutto il carbone durante la primavera si finiva a ottobre, prima dell’inverno e delle piogge… se rimanevano delle carbonaie da cuocere, si finivano allora, dopo non si poteva fare perché la legna diventava troppo vecchia e non andava più bene. […]

Per fare il carbone si usava tutta la legna: rovere, cerro, carpine, castagno, scopone, leccio. Tutta la legna che si trovava era buona per il carbone.

La carbonaia si costruiva con due pali e della legna tutta torno torno, finché la carbonaia non aveva preso forma. Poi veniva ricoperta di terra e si lasciava una buca nel mezzo dove si dava da mangiare per alimentare il fuoco perché bisognava saper mandare il fuoco unito, altrimenti si rovinava la carbonaia e il segreto era questo, appena la buca si chiudeva, e non si alimentava più, il fuoco dalla cima doveva ritornare in fondo e tutta l’arte era quella di riuscire a mandare il fuoco unito, di evitare che andasse solo da qualche parte perché altrimenti la carbonaia non cuoceva bene e la legna si rovinava. Quindi l’arte era quella di mandare il fuoco unito per avere del carbone uniforme…

Audio:

Intervista a Gino Chini raccolta da Valentina Lusini e Pietro Meloni a Barbischio, Gaiole in Chianti (SI), il 20 aprile 2013

Autore scheda: Pietro Meloni

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