Il capanno del carbonaio in Val di Merse

Luogo: Iesa

Comune: Monticiano

Data/periodo: Fino agli anni Sessanta del Novecento

Descrizione: I boscaioli che stavano via per lungo tempo, i carbonai che dovevano prestare assistenza continua alla carbonaia o i proprietari dei castagneti, che per molti giorni seguivano le fasi di essiccazione delle castagne, dovevano fermarsi obbligatoriamente a dormire in capanni nel bosco. Una fitta rete di pali di legno reperiti sul posto veniva ricoperta con zolle di terra, le cosiddette “piote”, che venivano staccate dal terreno con la zappa. Lo strato di terra veniva quindi coperto con fascine di erica o roggiola (detta anche “ginestra dei carbonai”), che formavano uno strato impermeabile e isolante. Il capanno era solitamente a pianta quadrata, detta “a dispensa”, con un comignolo al centro. L’ingresso era costituito da un cancellino di legno ricoperto di frasche.
In molti casi, i carbonai e i boscaioli costruivano direttamente la propria capanna, mentre altre volte riadoperavano il capanno costruito da altri, utilizzato e poi abbandonato. In questo caso, occorrevano quasi sempre dei piccoli lavori di restauro.
Vivere in un capanno nel bosco comportava diversi inconvenienti. Racconta il cioccaiolo Mario Nepi:

Una volta andai a cavare il ciocco verso Civitella e da lì tornare a casa la sera era impossibile, quindi si dormiva fuori. Trovai una capannetta piccola, che per una persona andava bene, ed era in discrete condizioni. Cominciai a vedere il ciocco com’era e cominciai a lavorare. Quando arrivai in capanna per fare la polenta… “l’assaggio” c’era già stato: i topi erano entrati nel sacco di farina, avevano assaggiato il formaggio, avevano assaggiato la farina. Allora attaccai il cibo ad un ramo.

La cucina era fondamentale nella capanna, in alcuni casi si avevano a disposizione anche dei semplici fornelli. Per l’acqua bisognava organizzarsi andandola a prendere alla sorgente più vicina.
Dentro il capanno c’era la rapazzòla, un essenziale giaciglio per stendersi a riposare. A seconda del numero degli occupanti, la capanna poteva essere ad una rapazzòla sola oppure a due. Se era a due rapazzòle, cioè una per ogni estremità della capanna, la porta veniva costruita al centro in modo da tenere le rapazzòle separate.
Per fare questo giaciglio venivano piantati quattro pali in terra. Su questi pali erano fissate due traverse, sulle quali venivano appoggiati dei bastoni più piccoli che facevano da rete. Sopra si stendeva un rudimentale materasso fatto con un sacco riempito di frasche, foglie secche, più raramente paglia (se c’erano dei poderi nelle vicinanze dove poterla recuperare). Per coprime, ossia come coperta, si usavano le balle di carbone. Quando la stagione era particolarmente fredda, si entrava interamente vestiti dentro le balle di carbone, usandole come sacchi a pelo.

Bibliografia:

Ascheri M., Borracelli M. (a cura di), Monticiano e il suo territorio, Siena, Cantagalli, 1997

Fonti:

Intervista a Mario Nepi, raccolta da Valentina Lusini e Pietro Meloni il 9 marzo 2012

Autore scheda: Pietro Meloni

 

 

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