Il cipresso nelle Crete senesi

Luogo: Crete senesi e Val d’Arbia

Comune: Monteroni d’Arbia, Asciano, San Quirico d’Orcia, Rapolano Terme, Buonconvento

Descrizione: Esiste un luogo tra Torrenieri e San Quirico, il “boschetto di cipressi”, conosciuto con il nome di “tombolo” o “roccolo”. Si tratta di una radura di forma circolare dove, in data non precisata, è stata piantata una serie di cipressi per creare una zona di richiamo degli uccelli ad uso venatorio. Adesso, non più utilizzato per tale scopo, il posto è diventato uno dei soggetti più fotografati della Toscana. In questo, come in altri luoghi della regione, i cipressi creano uno scorcio suggestivo, spiccando come elementi verticali nel paesaggio obliquo delle Crete. A vederli così, è difficile immaginare che questi alberi non siano elementi naturali originari di questa terra.

In epoca remota, il cipresso “toscano” (o cipresso comune) costituiva ampie foreste nell’intera area mediterranea, in particolare in Grecia. La leggenda narra che a Creta ci fossero così tante piante di questo tipo che chi giungeva dal mare poteva percepirne l’essenza già molto prima di sbarcare sull’isola. Utilizzato dagli Egizi, dai Fenici, dai Greci e dai Romani, il cipresso fu importato, come pianta da coltivare, nelle migrazioni delle civiltà di area mediterranea; introdotto nel nostro paese molto probabilmente dai Fenici, questa pianta è stata coltivata, diffusa e addomesticata, assumendo nel tempo significati diversi come oggetto di culto, pianta legata alla morte e ai luoghi di sepoltura e, solo nel Rinascimento, come elemento essenziale del paesaggio dell’Italia centrale.

La cultura contadina toscana, in particolare, impiega il cipresso per segnalare un crocevia, il limite di un podere, un tabernacolo, una chiesetta, oppure per sorreggere i pagliai o incorniciare l’aia.

Dal punto di vista botanico, il cipresso presenta delle caratteristiche particolari: è un albero sempreverde che può raggiungere i 35 metri di altezza e un diametro del tronco di un metro. La chioma presenta un colore verde scuro con forme variabili, da quella affusolata e appuntita, con rami rivolti verso l’alto (Cupressus sempervirens var. pyramidalis), a quella più espansa (Cupressus sempervirens var. horizontalis). La pianta è monoica, con i fiori maschili e femminili presenti sulla stessa pianta, ma separati. Le galbule, conosciute con il nome comune di “coccole”, contengono i semi e si aprono sulla pianta, senza cadere, assumendo con il tempo una colorazione grigio argento. L’apparato radicale, detto “a polipo”, fornisce un buon ancoraggio pur essendo molto superficiale. In Toscana, il cipresso si riproduce naturalmente nel bosco di Sant’Agnese, nei pressi di Castellina in Chianti; per questo motivo, l’area è stata istituita come riserva naturale protetta.

Bibliografia:

Intini M. (a cura di), Contributo del cipresso alla valorizzazione economica ed ambientale del territorio, Progetto CypMed Interreg III B Medocc, Firenze, Edizioni Centro Promozione Pubblicità, 2004 (on line sul sito http://www.arsia.toscana.it)

Testi A., Alberi d’Italia, Milano, Giunti Demetra, 2010

Note: L’olio essenziale di cipresso è stato utilizzato fin dall’epoca dei Babilonesi, come ha dimostrato il ritrovamento di una tavoletta di argilla dove è riportata una commissione: olio importato di cedro, mirra e cipresso. Lo storico greco Erodoto racconta che in Assiria le donne frantumavano con una pietra il legno di cipresso e di cedro, mescolandolo con dell’acqua fino ad ottenere una poltiglia consistente che stendevano sul corpo e sul viso; pare che il giorno dopo, quando si risciacquavano, la loro pelle fosse morbida e profumatissima. In Oriente, l’olio di cipresso comune costituiva un rimedio efficace contro le emorragie, la dissenteria, la tosse e il catarro. In epoca romana, invece, veniva utilizzato il cosiddetto “unguento di alabastro”, ottenuto dai coni macerati del cipresso, mescolati ad altre piante, che fu importato dall’Oriente ai tempi di Tito Flavio Vespasiano (7-79 d. C.).

Autore scheda: Serena Castignoni

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